Economia

Punti di vista: l’Italia di Cottarelli, parla l’ex commissario alla spending review

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

di Alessandro Chiatto

«Se mi crea disagio partecipare ai dibattiti televisivi? Certo, ma mi sono convinto che sia il mio dovere, perché serve metterci la faccia. Noi economisti non possiamo continuare a parlare solo tra di noi». Parola di Carlo Cottarelli, uno degli economisti più celebri del Paese e una delle voci più autorevoli per capirne l’attuale contesto economico. Non è un caso che dopo la rottura iniziale in merito al possibile governo Lega-Movimento 5 Stelle, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo convocò al Quirinale affidandogli l’incarico di formare un nuovo governo. Creandosi, poi, la situazione per un esecutivo politico, il professore decise di fare un passo indietro.
Un titolo, quello di professore, che non gli piace molto: «L’unico professore era mio nonno, di ragioneria» ci dice nel suo studio all’università Cattolica di Milano. «Tengo un corso qui e mi chiamano professore, ancora mi devo abituare».

La situazione economica italiana non è delle migliori. La Commissione europea ha tracciato un quadro deprimente, con una crescita tra lo 0,2 e lo 0,4%. Quanto sono realistici questi dati?

«Visto l’andamento nel quarto trimestre del 2018, una crescita tra lo 0,2 e lo 0,4% nel 2019 è la cosa più probabile. Le stime sono molto credibili, a differenza di quelle del governo, che si attestano all’1%. Una crescita di questo tipo richiederebbe un’accelerazione molto forte, se non irrealistica, nella seconda metà dell’anno».

Parla di una crescita irrealistica. Dipende in gran parte da quanto crescerà l’Europa?

«Un effetto nell’immediato un po’ espansivo sul Pil dato dalla introduzione di Reddito di cittadinanza e Quota 100 ci può essere, anche se non mi aspetto molto. I tassi di crescita dello 0,2-0,4 comportano comunque un’accelerazione della crescita con tassi trimestrali nell’ordine dello 0,2-0,3% nella seconda metà dell’anno, ma questi recepiscono già un’Europa che riprende a crescere. Il problema si porrebbe qualora non ci fosse una ripresa in Europa, perché potrebbe finire peggio».

Il vicepremier Luigi Di Maio ha dichiarato che si faranno nuovi investimenti. Ma con questi dati è possibile trovare i fondi?

«Sicuramente sarebbe meglio fare più investimenti, ma non si può produrre maggiore spesa pubblica e tagliare le tasse come il governo vuol fare il prossimo anno. Così facendo non si fa altro che aumentare il debito e il deficit».

Pensa ci sarà una manovra correttiva?

«Non penso proprio, sono disposto a scommetterci. L’unica situazione in cui ci potrebbe essere è se lo spread riprende a salire e non penso. Vorrebbe dire che sarebbe in atto un peggioramento della situazione esterna o uno shock interno, che può avvenire se l’Europa andasse in recessione. Per la maggior parte dei Paesi non sarebbe un problema, ma a noi porterebbe davvero una situazione di crisi. In ogni caso se i mercati se ne staranno tranquilli neppure io farei una manovra correttiva, dato che siamo in recessione. Il problema riguarda il prossimo anno, con un deficit che sale a questi livelli, c’è da capire come reagiranno i mercati. A quel punto una correzione della legge di bilancio il prossimo anno bisognerà farla. Una manovra di correzione dei conti pubblici non fa bene all’economia, ma a volte bisogna farla per evitare di finire in guai peggiori».

Nel 2013, durante il governo Letta, ricoprì il ruolo di Commissario per la spendig review. Prima di lei, ci furono Giarda e Bondi. Ma perché in Italia è così difficile tagliare le spese dello stato?

«Bisogna riconoscere che fino a quest’anno la spesa non era aumentata moltissimo. Il tasso di crescita della spesa in Italia dal 2010 al 2017 era nell’ordine dello 0,3-0,4% in termini nominali. Quindi, una spending review c’è stata, anche se in modo rozzo, attraverso i tagli lineari. In Italia, paradossalmente, fa contenti tutti se si taglia linearmente, anziché colpire le inefficienze, che da un certo punto di vista discriminano. È paradossale, ma è così».

All’orizzonte cosa vede? Cosa pensa di un suo nuovo coinvolgimento?

«Non do giudizi politici, risulta davvero difficile sapere cosa c’è nella testa di chi è al governo. Io sono stato chiamato per un compito ben preciso all’epoca, ovvero traghettare il Paese verso nuove elezioni senza avere la fiducia del Parlamento, gestendo solo l’ordinaria amministrazione. Non potrei dire cosa farei, dipende dalle circostanze. Non ci sto pensando, comunque, non credo sia una strada percorribile».

I conti pubblici nel mirino di Mister Forbici. Carlo Cottarelli è nato a Cremona nel 1954. Sposato con due figli, un maschio e una femmina, dopo essersi laureato in Scienze economiche e bancarie a Siena ha conseguito un master presso la London school of Economics. La sua carriera inizia nel 1981 nel servizio studi della Banca d’Italia, ma il grande passo avviene Oltreoceano quando nel 1988, dopo un anno passato all’Eni, diventa il direttore degli Affari Fiscali del Fondo monetario internazionale, dove lavorerà per venticinque anni.  Torna in Italia nel 2013, quando viene chiamato dall’allora governo presieduto da Enrico Letta a ricoprire il delicato incarico di Commissario straordinario della revisione della Spesa Pubblica. La sua famosa spending review gli valse il curioso soprannome di “Mister Forbici”. Un incarico svolto fino al 2014, quando il successivo presidente del Consiglio, Matteo Renzi, lo designa come direttore esecutivo nel board del Fondo monetario internazionale. Una volta scaduto l’incarico, dal 30 ottobre 2017 è il direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’università Cattolica di Milano.

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di aprile del magazine Wall Street Italia