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Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca come 47esimo presidente degli Stati Uniti ha riacceso il dibattito sull’impatto delle sue politiche economiche sui tassi d’interesse negli Stati Uniti e nell’Eurozona. Le proposte di tagli fiscali, dazi commerciali e deregulation rischiano infatti di influenzare le politiche monetarie su entrambe le sponde dell’Atlantico, dividendo le strade di FED e BCE:
Gli effetti sulle politiche monetarie
Negli Stati Uniti
L’idea ampiamente diffusa tra gli analisti è che politiche economiche di Trump, caratterizzate da un mix di stimoli fiscali e protezionismo commerciale, possano portare a un aumento dell’inflazione, costringendo la Federal Reserve (Fed) a mantenere a un atteggiamento prudente sui prossimi tagli.
È di questa idea Jens Søndergaard, analista valutario di Capital Group, secondo cui l’inflazione globale, pur essendo diminuita, rimane vischiosa. Ciò indurrà “la Fed ad agire con cautela per quanto riguarda il ritmo e l’entità dei tagli futuri. Tale atteggiamento di cautela è probabilmente rafforzato dalle politiche di Trump, dove il potenziale per l’inflazione di guadagnare slancio a seguito di esse è più elevato”.
Non la pensa così Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer, UBS WM Italy, secondo cui le preoccupazioni sull’inflazione sono, almeno in parte, eccessive.
“L’ultimo dato relativo all’inflazione è stato migliore delle attese, assestandosi al 2,9%. Ma questo dato è gonfiato dai costi degli alloggi, che rappresentano più di un terzo dell’indice dei prezzi al consumo. I prezzi degli alloggi sono infatti aumentati del 4,6%, ma i dati più recenti indicano un rallentamento. Escludendoli, l’inflazione complessiva sarebbe stata dell’1,9%. Di conseguenza, riteniamo che il mercato stia sottovalutando la possibilità di un ulteriore allentamento della politica monetaria e ci aspettiamo che la Fed riduca i tassi di 50 punti base nel 2025, anche se i tagli potrebbero riprendere solo verso la metà di quest’anno”.
Nell’Eurozona
Le politiche di Trump rischiano di avere ripercussioni anche sulla Banca Centrale Europea (BCE). Gli economisti prevedono che la BCE continuerà a tagliare i tassi per stimolare la crescita economica, già debole nel 2024, e contrastare gli effetti negativi di un dollaro più forte e delle tensioni commerciali globali.
A questo proposito, Ramenghi ricorda che “il 2024 è stato un altro anno difficile per l’economia dell’area dell’euro, che di fatto è da due anni in stagnazione. Con tassi elevati e politiche fiscali più rigide, gli investimenti delle imprese sono diminuiti, la spesa per le costruzioni è calata e la tanto attesa ripresa dei consumi sta appena iniziando a dare qualche timido segnale. La crescita ha continuato a dipendere dalla spesa pubblica, che vedrà dei tagli per l’applicazione del Patto di stabilità a partire da quest’anno, e dalle esportazioni, che però non sembrano più in grado di trainare l’economia a fronte delle crescenti tensioni commerciali”.
In questo complesso scenario – aggiunge Ramenghi – “la BCE ha tagliato i tassi d’interesse di un punto percentuale nel 2024 e ci aspettiamo che faccia altrettanto quest’anno, portando il tasso sui depositi al 2%. Ma non è chiaro se si fermerà lì. Con una crescita economica vacillante, la BCE potrebbe dover fare di più, anche in considerazione del protezionismo americano”.
Impatto sul cambio euro-dollaro
Tutto questo avrà effetto sul mercato dei cambi. La presidenza Trump potrebbe rafforzare il dollaro rispetto all’euro.
A questo proposito, Søndergaard di Capital Group, ha spiegato che “La robusta crescita degli Stati Uniti e l’aumento dei tassi reali potrebbero sostenere un dollaro forte fino alla metà del 2025”. L’analista ha aggiunto che il rafforzamento del dollaro USA è sostenuto anche da un differenziale positivo dei tassi reali rispetto al resto del mondo, ben al di sopra della media di lungo periodo.
“La nuova amministrazione alla Casa Bianca potrebbe avere implicazioni sia positive che negative per il dollaro. Nel complesso, tuttavia, riteniamo che il dollaro USA rimarrà probabilmente forte fino al 2025. Le politiche di Trump a favore della crescita, come i tagli alle tasse e l’aumento della spesa pubblica, potrebbero stimolare la crescita economica nel breve termine e, di conseguenza, il dollaro”.