Economia

Il Pentagono “brucia” e spaventa Wall Street: quando le bufale affossano i mercati

Calo “anomalo” segnalato nelle ultime ore a Wall Street. A causarlo sarebbe stata una fake news su un grave incendio al Pentagono, l’ultima in ordine cronologico ma non certo l’unica. Vediamo nell’analisi cosa è accaduto e quali precedenti bufale hanno coinvolto in passato i mercati finanziari.

L’episodio di oggi

Un’immagine falsa del Pentagono in fiamme, generata presumibilmente dall’intelligenza artificiale e diffusa da un account Twitter che promuove la teoria cospirativa QAnon, è diventata virale online e ha causato un leggero calo sul principale indice americano per una decina di minuti. Anche se non tutti gli analisti lo attribuiscono a questo episodio, alcuni hanno addirittura parlato di 500 miliardi di dollari bruciati dai mercati americani in una manciata di secondi.

In ogni caso la Difesa Usa è stata costretta a smentire: “Possiamo confermare che si tratta di una notizia falsa e che il Pentagono non è stato attaccato”, ha detto un portavoce. Anche i vigili del fuoco di Arlington, in Virginia, hanno reagito, assicurando sui social media che non si sono verificate esplosioni o incidenti al Pentagono o nelle vicinanze. Ma ovviamente le immagini circolate in pochissimo tempo hanno generato non poca confusione. Inoltre, alcuni esperti di fact checking come Nick Waters di Bellingcat, un collettivo giornalistico specializzato in inchieste e fact checking si sono affrettati a sottolineare alcune notevoli incongruenze dell’immagine: non solo non c’erano testimoni a corroborare la veridicità dell’evento, ma l’edificio stesso è assai diverso dal Pentagono.

I precedenti

Ma come dicevamo, la cosa si è già verificata in passato. Nel 2013 l’hackeraggio dell’account Twitter dell’Associated Press nel 2013, col conseguente rilancio della falsa notizia di una duplice esplosione alla Casa Bianca e del ferimento dell’allora presidente Usa Barack Obama, fece perdere in pochi secondi all’S&P 500 più di 136 miliardi di dollari in capitalizzazione. Non solo. Corre alla mente anche la finta proposta di Opa su Avon e Rocky Mountain Chocolate “infilata” nel sistema informativo elettronico della SEC. Oppure il caso che ha coinvolto (insieme ad altre aziende) la società quotata Galena Biopharma. In quell’occasione la Sec accusò l’azienda e il suo Ceo di avere pagato, tramite una società di pubbliche relazioni, alcuni autori, che pubblicavano articoli su piattaforme informative in Internet (tra cui Seeking Alpha), per scrivere analisi positive sulla stessa società. Alla fine l’AD e l’azienda biotech hanno transatto il procedimento con la Sec.

Citiamo anche l’onnipresente Musk. Il magnate annunciò via Twitter (social che poi ha acquistato) all’inizio dell’agosto 2018, di voler ritirare Tesla dal mercato, riacquistando azioni per un controvalore di 420 dollari l’una (al momento il mercato prezzava $340). Le azioni Tesla registrarono un +11% nelle due ore appena successive all’annuncio del patron, tradottesi però in una perdita del 15% (a fine settembre 2018) dopo che la Consob americana, la Sec, ha chiamato Musk a fornire delucidazioni circa la propria (falsa) dichiarazione mai tradottasi in realtà.

Le fake news nostrane

Se da un lato il rialzo artificioso può essere il fine perseguito da chi diffonde una fake news, dall’altro un’ndiscrezione emersa nel momento sbagliato può fare ugualmente danni. Vengono in mente due esempi tutti italiani: da un lato Pirelli, dall’altro Unicredit. Le due big dell’indice italiano, di fronte al rialzo delle quotazioni di mercato che ha fatto seguito al flusso di indiscrezioni trapelate anzitempo (la prima, un ventennio fa, circa il possibile scorporo della divisione cavi; la seconda, qualche tempo or sono, circa la possibile creazione di una realtà in cui far confluire tutti i crediti non performanti e in sofferenza dell’istituto) hanno dovuto sospendere i dossier e rifare i propri calcoli.