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Erano tutti pronti a chiusura mercati all’apice della crisi

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ROMA (WSI) – Questo articolo e’ statoo pubblicato sul Corriere della Sera, il direttore Ferruccio De Bortoli accenna ad un episodio inedito inquietante, un provvedimento di chiusura dei mercati finanziari, durante l’attacco all’Italia nel 2011.

A quasi cento giorni dal suo insediamento, il governo Letta è tanto fragile quanto necessario. L’assenza di un’alternativa non lo autorizza a coltivare l’arte del rinvio, lo obbliga a un sano pragmatismo. Le necessità di famiglie e imprese, il lavoro dei giovani, i timidi segnali di ripresa da non soffocare dovrebbero essere le sole priorità. La strada imboccata è giusta, ci vorrebbe un po’ di coraggio nel tagliare le spese per abbassare le tasse, come hanno scritto sul Corriere Alesina e Giavazzi. Una strategia per ridurre il debito, al record storico del 130%, è urgente. Di cessioni pubbliche non si parla, nemmeno di quell’1% annuale del Pil, come promesso nell’era Monti.

A proposito del leader di Scelta civica: le troppe critiche offuscano i non pochi meriti. L’Italia, grazie al suo governo, ha evitato la catastrofe alla fine del 2011. L’episodio è inedito ma, nelle ore più drammatiche di quel tardo autunno, un decreto di chiusura dei mercati finanziari era già stato scritto d’intesa con la Banca d’Italia. Quel decreto rimase in cassaforte – e speriamo che vi resti per sempre -, ma vi fu un momento nel quale temevamo di non poter più collocare sul mercato titoli del debito pubblico.

Nei prossimi giorni si parlerà molto di una sentenza della Cassazione e di un anniversario. Non il 25 luglio del ’43 ma, più modestamente, del 5 agosto del 2011, quando il governo Berlusconi ricevette la contestata lettera della Banca centrale europea, allora a guida Trichet, controfirmata da Draghi, ancora Governatore. Il Cavaliere considera quella missiva, che conteneva una serie di impegni immediati, alla stregua di un golpe europeo.

In realtà il governo, dopo il vertice di Cannes, nel quale si prese l’impegno del pareggio di bilancio, non stava più in piedi. La lettera della Bce rappresentò un ultimo atto di fiducia, preceduto da acquisti di titoli italiani per 160 miliardi. L’enfasi era sulle riforme per la crescita. Che, a parte le pensioni, sono ancora oggi da fare. La situazione precipitò poi in novembre favorendo il traumatico cambio a Palazzo Chigi.

Oggi, per fortuna, il Paese è uscito da una procedura europea di deficit eccessivo. È tornato tra i membri virtuosi. E lo è molto di più di altri, la Francia per esempio. Ma non può assolutamente rivelarsi, ancora una volta, né instabile né inaffidabile. Deve proseguire lungo il sentiero della crescita e della creazione di lavoro. L’ultimo declassamento di Standard & Poor’s è una coda velenosa del caos successivo alle elezioni di febbraio. Quella bocciatura era già stata decisa in primavera e poi rinviata dopo la rielezione di Napolitano.

Ora è giusto criticare le agenzie di rating. Sbagliano, sono preda di pregiudizi. Ma ancora due piccoli gradini in giù nel voto sull’affidabilità del debito e, con la perdita del cosiddetto investment grade , molti investitori internazionali sarebbero costretti, per regole interne, a liberarsi delle attività italiane. E un serio imbarazzo lo avrebbe anche la Bce di Draghi, che non potrebbe più accettare come collaterali titoli italiani nel finanziamento del sistema bancario.

Ne farebbero le spese le famiglie e le imprese proprio nel momento in cui qualche segnale di ripresa è visibile. L’anniversario del 5 agosto, che coincide con i cento giorni di Letta, dovrebbe far riflettere governo e forze politiche sull’estrema fragilità di un Paese dalla memoria corta, che mostra ogni giorno al mondo un volto litigioso e inconcludente, così diverso dalla sua pur inquieta laboriosità.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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