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Dollaro perde peso come riserva, sale quello del renminbi. Cosa fare

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Dollaro perde ruolo come riserva, sale quella del renminbi cinese

di Matteo Ramenghi, direttore investimenti UBS WM Italy

L’utilizzo delle valute come riserva da parte delle banche centrali racconta la storia del potere economico, tecnologico e militare delle nazioni. Storicamente una posizione prominente nell’ambito del commercio e la capacità di attirare flussi di capitali determinano lo status di riserva di valore di una moneta.

Le banche centrali tendono a essere molto caute, muovendosi con lentezza e solo di fronte a molte conferme, e ciò aumenta la rilevanza delle loro scelte. Gli spostamenti delle riserve valutarie richiedono quindi molti anni anche perché, spesso, la funzione di riserva internazionale di una moneta si dimostra più duratura della leadership geopolitica.

L’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale su questo tema ha rivelato che il peso del dollaro nelle riserve detenute dalle principali banche centrali è sceso al 59% a inizio 2020, il livello più basso da 25 anni e inferiore di 12 punti percentuali rispetto al 1999.

La diminuzione del peso del dollaro nelle riserve delle banche centrali non ha intaccato il suo ruolo internazionale che, con tutta probabilità, rimarrà inalterato ancora per molti anni. Infatti, il dollaro resta la moneta dominante sui mercati finanziari e negli scambi internazionali. Quasi il 90% delle operazioni in valuta estera coinvolge il dollaro e, a livello globale, le esportazioni fatturate in dollari eccedono significativamente le importazioni statunitensi, testimoniando la sua rilevanza del biglietto verde al di fuori dei confini nazionali.

Negli ultimi vent’anni il peso dell’euro è oscillato più volte e attualmente si conferma intorno al 20%, la stessa percentuale di vent’anni fa.

Dollaro scende, sale il peso del  renminbi cinese

Altre valute hanno aumentato il proprio peso e, insieme, hanno raggiunto una quota pari al 9% del totale: si tratta del dollaro australiano, del dollaro canadese e, soprattutto, del renminbi cinese.

Ciò non stupisce: la Cina non è solo il principale motore di crescita a livello globale, ma già oggi rappresenta oltre un quinto del PIL mondiale ed è il principale acquirente di materie prime. Nei prossimi anni, anche sulla scorta delle politiche economiche intraprese dal governo cinese e in particolare del percorso di apertura del mercato finanziario domestico, il peso della Cina sui mercati finanziari crescerà ulteriormente, insidiando sempre più il ruolo internazionale del dollaro.

Occorre anche considerare che le tensioni geopolitiche possono comportare cambiamenti repentini; per esempio, la Russia ha ridotto drasticamente le sue riserve in dollari da oltre il 50% a fine 2017 a meno del 30% nel giugno dello scorso anno in risposta alle sanzioni statunitensi.

Anche la tecnologia può accelerare i cambiamenti: la nascita delle monete digitali, dalle criptovalute fino alle valute digitali create dalle banche centrali, potrebbe facilitare il percorso verso un mercato valutario multicentrico. In fondo ciò riflette quanto avviene a livello geopolitico, soprattutto per via della crescita della Cina, che è avviata a divenire la principale economia in termini di PIL.

Per queste ragioni, la bassa esposizione di molti investitori nei confronti della Cina stride con la sua dimensione e le sue prospettive. Da un punto di vista strategico, aumentare il peso della Cina – partendo dal mercato azionario – all’interno dei portafogli globali è un modo per giocare d’anticipo rispetto a gran parte degli indici globali, che nel corso dei prossimi anni rivedranno periodicamente l’allocazione nei confronti del mercato cinese.

Per contro, le considerazioni esposte rafforzano la nostra visione tattica di cautela sul dollaro. A breve termine, la ripresa economica in corso e il maggior appetito per il rischio da parte degli investitori dovrebbero supportare le valute che tradizionalmente beneficiano maggiormente di una ripresa del ciclo economico (euro, sterlina, emergenti).