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Conte indagato, ecco perché

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Giuseppe Conte è indagato per alcuni fatti connessi alla gestione della pandemia tre anni or sono. Ma vediamo cosa è successo.

Nell’arco di un mese il Covid-19, nel 2020, portò via qualcosa come 3 mila uomini e donne. Un numero immenso di morti, in lasso di tempo terribilmente breve, fece sì che i cimiteri non fossero più in grado di accogliere i corpi. Toccò ai soldati caricare quei corpi e portarseli via, tra le strade di Bergamo. Sono passati poco più di tre anni da quel maledetto mese di febbraio, quando il Covid-19 fece le prime vittime ed oggi la Procura è arrivata alle prime conclusioni, notificando a 17 persone alcune ipotesi di reato a vario titolo: si passa da epidemia colposa, ad omicidio colposo fino a rifiuti di atti d’ufficio.

In una nota, i magistrati hanno precisato che non si tratta di un atto d’accusa, anche perché gli indagati sono a tutti i livelli, andando a toccare direttamente il mondo politico, quello scientifico-istituzionale e quello locale. Nel lungo elenco degli indagati vi è l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, le cui posizioni risultano essere separate da quelle degli altri impuntati e che dovranno essere valutate direttamente dal Tribunale dei Ministri di Brescia. Conte e Speranza, infatti, avrebbero – il condizionale è sempre d’obbligo, in questi casi – commesso i reati mentre svolgevano le loro attività ministeriali.

Le ipotesi di reato

Ma quali sono, in estrema sintesi, le ipotesi di reato? Il 23 febbraio 2020, stiamo parlando di due giorni dopo la scoperta del cosiddetto paziente 1 di Codogno, vengono accertati altri due casi all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo. Si provvede, quindi, all’immediata chiusura dell’ospedale, per poi riaprirlo dopo poche ore senza che ve ne sia una ragione. Questa è l’ipotesi da cui muove l’accusa: l’ospedale viene aperto, senza essere stato sanificato.

Questo è il primo episodio chiave, che va ad aggiungersi ad un altro tema, che è stato sviscerato dalla Procura, la quale è stata supportata da una consulenza firmata dal microbiologo Andrea Crisanti: la presunta mancata zona rossa, in un territorio nel quale era stato registrato un numero di contagi esorbitante rispetto a quelli registrati nel lodigiano, che era stato sigillato fin da subito.

Chi doveva chiudere i dintorni di Bergamo a seguito del propagarsi del Covid-19? Il Governo o la Regione? Per cercare di dipanare questa matassa i magistrati hanno sentito – prima come testimoni, poi sono diventati degli indagati – Conte, Speranza e il governatore della Regione Lombardia Attilio Fontana. La scena, in un secondo momento si è allargata ad altre stanze del ministero, andando a coinvolgere anche epoche precedenti rispetto a quella dell’esecutivo in carica nel corso di quei mesi. Alcune accuse sono arrivate anche a Francesco Zambon, ex funzionario dell’OMS e contro un altro pezzo grosso dell’organizzazione, Ranieri Guerra, accusato di aver postdatato il piano pandemico – portando dal 2006 al 2017 – per affrontare la crisi sanitaria, facendolo risultare aggiornato, anche se in realtà non lo sarebbe stato.

La reazione di Conte

L’associazione dei familiari delle vittime del Covid 19 ha ringraziato la Procura di Bergamo dopo la chiusura delle indagini. Secondo l’associazione, i magistrati “hanno individuato responsabilità precise nella gestione della pandemia che coinvolgono il settore politico e istituzionale. Da sempre ci siamo battuti per i nostri cari nonostante l’omertà che ha sempre contraddistinto questa storia. Questa decisione non ci restituisce i nostri cari ma onora la loro memoria”.

Si dice tranquillo, invece Giuseppe Conte, che afferma di aver appreso “dalle agenzie di stampa notizie riguardanti l’inchiesta di Bergamo. Anticipo subito la mia massima disponibilità e collaborazione con la magistratura. Sono tranquillo di fronte al Paese e ai cittadini italiani per avere operato con il massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica”.