Economia

Celiachia, la mappa del giro d’affari italiano

La celiachia è la più frequente patologia autoimmune nei bambini e coinvolge principalmente l’intestino e il sistema immunitario, costringendo chi ne soffre a una dieta priva di glutine, da seguire a vita.
Tanto che uno studio della Società Italiana di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica (SIGENP), condotto su 9.000 bambini italiani in 9 città diverse, dimostra che in Italia la celiachia interessa circa 1 bambino su 60, uno dei dati più alti al mondo, a cui si lega un tasso di sotto diagnosi che sfiora ben il 60%.

Federconsumatori stima invece che la celiachia in Italia colpisca circa l’1% della popolazione, quindi più o meno 600.000 persone, ma ancora tantissime fra queste non conoscono la loro diagnosi. L’Associazione Italiana Celiachia conferma infatti che nel nostro Paese sono diagnosticate solo circa 233.147 persone celiache e, di conseguenza, quasi 400.000 pazienti non sanno di essere celiaci e la pandemia ha rallentato ulteriormente l’iter diagnostico.

Distribuzione celiaci per regione 2020 ministero della salute

Ma mentre la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) è pronta per rispondere alla crescente domanda di prodotti gluten free, non sembra essere così per le attività commerciali del settore Ho.Re.Ca. (“Hotellerie-Restaurant-Café” che include tutte le attività connesse ai consumi di cibi e bevande fuori casa, quindi alberghi, ristoranti, catering, bar, etc), forse ancora indietro nell’offerta di prodotti gluten free. Il monito è arrivato dal direttore di Wall Street Italia Leopoldo Gasbarro, costretto a girare diversi bar di Roma prima di trovare quello con disponibilità di croissant senza glutine per godersi la colazione in compagnia del suo cliente, intollerante alla proteina presente in alcuni cereali. “A Napoli ad esempio mi sembra ci sia più attenzione verso i celiaci da parte soprattutto delle pizzerie, che espongono il cartello “pizza senza glutine disponibile” già sulla porta d’entrata”, ci ha riferito, incalzandoci a chiederci quali siano i numeri italiani che ruotano attorno a questa patologia e quale sia il relativo giro d’affari.

La mappa delle regioni italiane con la densità di attività commerciali gluten free

La mappa delle regioni italiane suddivisa per la presenza di attività commerciali gluten free ogni 100 abitanti può essere consultata a questo link.

Come si può vedere dal grafico, l’Umbria si posiziona al primo posto della classifica della densità, riuscendo a garantire una struttura gluten free ogni 19 persone. Sul podio anche Molise (una ogni 21 celiaci) e provincia autonoma di Trento (una ogni 22), segno che l’offerta è più che adeguata per la comunità celiaca presente. Tra le regioni più grandi, per territorio e numero di persone affette dall’intolleranza, la prima è la Toscana (una ogni 32), ultima la Lombardia (una ogni 99), in difficoltà a soddisfare l’ampia richiesta. Maglia nera con distacco la Sardegna, tre volte peggio rispetto alla media nazionale, con una struttura senza glutine ogni 152 celiaci.

Il giro d’affari della celiachia in Italia

Quanto invece al giro d’affari, la risposta arriva sempre dall’Associazione Italiana Celiachia. Secondo l’AIC, nel 2022 (ultimo dato disponibile) sono stati acquistati in Grande Distribuzione Organizzata oltre 10mila tonnellate di pasta e quasi 15mila tonnellate di sostitutivi del pane “gluten free”. E sono aumentati sia i volumi comprati (rispettivamente +4,2% e +3,6% sul 2021) che la cifra spesa (+6%), complice anche il contributo del Servizio Sanitario Nazionale, che nel 2020 (ultimo dato disponibile) ha speso oltre 209 milioni di euro per sostenere l’acquisto dei prodotti senza glutine, spendendo circa mille euro anno pro capite in media.

Anche per questo oggi i celiaci rappresentano un target molto ambito per le aziende alimentari, che stanno investendo sempre di più sul mondo del gluten free, artefice da alcuni anni di una costante crescita appunto soprattutto in GDO. I prodotti gluten free non sono infatti richiesti solo dai celiaci in senso stretto, ma anche da persone definite “gluten sensitive” (cioè non celiache ma che hanno sviluppato una certa sensibilità al glutine e quindi meno ne assumono e meglio è) e da coloro che scelgono questi prodotti nella convinzione che siano più sani rispetto a quelli normali. Nonostante i prodotti senza glutine siano notoriamente più cari, la domanda sembra dunque non temere inflazione.

Tanto che, in totale, l’AIC stima che in Italia il giro d’affari dei prodotti senza glutine valga 400 milioni di euro, mentre a livello mondiale muove 1,6 miliardi di dollari e dovrebbe espandersi dell’11% entro il 2030 (fonte Grand View Research).

Il mercato cresce perché aumentano i casi diagnosticati di celiachia, anche se sono ancora pochi rispetto ai 400mila che stimiamo e perché i prodotti formulati per i celiaci non sono più un monopolio delle farmacie ma si possono acquistare anche in altri canali distributivi”, spiega Caterina Pilo, direttore generale di AIC, che continua: “le aziende si sono impegnate nella diversificazione delle materie prime, nella selezione di ingredienti di qualità e nella semplificazione delle ricette. E così i prodotti gluten free hanno ottenuto un profilo nutritivo più equilibrato e una maggiore piacevolezza organolettica, che li rende sempre più sani, buoni e, dunque, interessanti”.

Caratteristiche che trovano conferma anche nei dati: sono oltre 2.500 i prodotti licenziatari del logo della Spiga Sbarrata rilasciato dall’AIC, che in un anno ha visto crescere l’offerta del 10% e ha realizzato oltre 630 milioni di vendite in super e ipermercati, trainate dal trend di pani morbidi, cereali snack e affettati.