Economia

Case green, iniziati i negoziati: cosa dobbiamo aspettarci

La Direttiva “Case Green” o più precisamente la Direttiva Europea sulle Prestazioni Energetiche degli Edifici (EPBD), sta entrando nell’ultima fase del processo legislativo: i negoziati del Trilogo. Si tratta dell’ultimo passaggio determinante, forse il momento più critico, durante il quale i colegislatori, Parlamento e Consiglio UE proveranno a trovare un accordo, grazie alla mediazione della Commissione Europea, presieduta da Ursula Von der Leyen, per delineare in modo chiaro le prossime tempistiche di decarbonizzazione del settore delle costruzioni.

Oggi, 6 giugno 2023, è infatti in programma a Bruxelles il primo incontro sulla revisione della contestatissima Energy Performance of Buildings Directive (EPBD), sulla quale a metà marzo la Plenaria del Parlamento europeo aveva espresso il suo voto, con l’obiettivo di arrivare a una mediazione su un testo condiviso. Ricordiamo che l’approvazione della Direttiva EPBD non significa infatti entrata in vigore. Per quello si dovrà attendere probabilmente il 2025 con il recepimento da parte degli Stati membri.

Nel frattempo si preannuncia battaglia all’interno del dialogo dello stesso Trilogo, a cavallo tra la posizione del Parlamento, più stringente ed ambiziosa, e quella del Consiglio più prudente e dilatata nei tempi. Ed alla luce della prima proposta di revisione presentata dalla Commissione UE.

Per aiutare a fare chiarezza sulle due posizioni contrapposte da cui partiranno i negoziati, il BPIE (Buildings Performance Institute Europe) ha prodotto un interessante report comparativo per far luce sul futuro della Direttiva Case Green, sottolineando anche gli aspetti nei quali c’è margine di miglioramento per arrivare davvero ad abbattere le emissioni di gas serra e rendere i nostri edifici maggiormente confortevoli.

L’ordine dei lavori per questa prima giornata prevede però solo un passaggio rapido su due dei punti più contestati. Ci sarà solo una breve introduzione sulle rispettive posizioni per gli articoli 9 e 16. Il primo è l’articolo sulle prestazioni energetiche minime degli edifici: è qui che, nell’ipotesi del Parlamento, si prevede che gli edifici residenziali dovranno raggiungere la classe E nel 2030 e la classe D nel 2033.

Il secondo articolo, invece, rivede la disciplina degli attestati di prestazione energetica. Qui si ritocca tutto il sistema di classificazione dei Paesi membri, imponendo per il 15% degli edifici più energivori la classe E. È da qui che dovrebbe partire il piano di riqualificazione degli immobili: in Italia si tratta di 1,8 milioni di edifici su un totale di circa 12 milioni.

Cosa ci aspetta entro il 2030

Il testo approvato dal Parlamento che si andrà a discutere, prevede un primo step di riqualificazioni degli immobili residenziali che entro il 2030 dovranno rientrare almeno nella classe energetica E, mentre entro il 2033 sarà obbligatorio raggiungere la classe D. Saranno previste una serie di deroghe per i palazzi storici, le chiese e le abitazioni con superficie inferiore ai 50 mq. Come sopra ricordato, l’obiettivo sarà comunque quello di efficientare per primi quel 15% di edifici più energivori rientranti nella categoria G.

La Direttiva Case Green porterà con sé anche importanti novità sulla metodologia di calcolo della prestazione energetica degli edifici, la definizione di nuovi requisiti minimi sia per le nuove costruzioni che per le ristrutturazioni, l’integrazione del solare e l’eliminazione graduale delle fossili, la creazione di un passaporto di ristrutturazione associato ad una nuova metodologia per il calcolo degli APE (attestati di prestazione energetica).

A proposito di APE, la trattativa dovrà trovare una quadra sui livelli energetici minimi per ciascuna classe energetica, sull’inserimento di sistemi di controllo per le tecnologie adottate, sul supporto delle rinnovabili e dei kWh prodotti, sulla considerazione o meno del carbonio incorporato e sull’analisi del ciclo di vita dell’edificio.

Ma per quale motivo la direttiva proposta ha suscitato così tanto scalpore e attriti tra gli organi UE?

Case green, accordi e disaccordi tra il Trilogo UE

Parte integrante della strategia europea del Fit for 55, la Direttiva Case Green fornirà agli Stati Membri le tempistiche e gli standard minimi da rispettare per assicurarci di abbattere le emissioni globali di gas serra, rendendo i nostri edifici anche più confortevoli e meno energivori.

La posizione del Parlamento però è apparsa, da subito, parecchio ambiziosa, soprattutto per Paesi come l’Italia con un patrimonio immobiliare particolarmente vetusto. Ad esempio, il Rapporto Strategico 2023 della Community Smart Building di The European House Ambrosetti stima che, per portare dalla classe energetica G alla E (quindi con un salto di due classi) un appartamento standard di 100 mq al secondo piano di un palazzo di 5 tramite un intervento congiunto di cappotto termico e termoregolazione, si spenderebbero circa 20.500 euro. Una spesa non adatta a tutte le tasche, già alleggerite dall’inflazione persistente dell’ultimo anno e mezzo, che verrebbe recuperata solo nel lungo periodo, in 12-13 anni, considerando che dall’intervento green si otterrebbe un risparmio energetico del 52%, corrispondente a 1.629 euro in mano sulla bolletta annuale.

Così, c’è chi teme che dal Consiglio possa arrivare una bocciatura netta a quell’assetto, rendendo la trattativa molto lunga e difficile. Va ricordato che non ci sono dei termini prestabiliti per chiudere questa fase della procedura legislativa.

Su una cosa però i due organi legislativi europei concordano: il livello da raggiungere dovrà essere elevato passando dai Near Zero Energy Building agli edifici ad Energia Zero (ZEB). Ma le posizioni si allontanano quando si tratta di fissare le soglie limite da rispettare.

La revisione iniziale della Direttiva Case Green, presentata dalla Commissione nel 2018, calcolava la soglia limite considerando, all’interno del conteggio, anche l’energia rinnovabile prodotta in loco. Tuttavia in questo modo, secondo i relatori di BPIE e secondo il Parlamento, sarebbe facile “scontare” una parte della domanda di energia primaria abbassando la soglia senza la necessità di apportare alcun miglioramento all’involucro.

Accordo in linea di principio anche sulla presenza delle energie rinnovabili quale sistema di alimentazione, ma con diverse posizioni sulle deroghe eventuali a sistemi ibridi, teleriscaldamento o energia provenienti da “fonti prive di carbonio” anche se non rinnovabili.

Entrambe le posizioni mancano comunque di una visione a lungo termine, concedendo troppo tempo a ciascuno Stato Membro per definire i propri MEPS (entro il 2040) e non definendo nessun tipo di sistema premiante per chi deciderà di migliorare la soglia minima di ristrutturazione.