LONDRA (WSI) – Di economisti contrarian pro Brexit ce ne sono in giro, è solo che non hanno avuto molto spazio sui media mainstream che per giorni e giorni hanno fatto una campagna propagandistica contro l’addio del Regno Unito all’Europa Unita. È vero che dal punto di vista politico è un terremoto inaspettato di proporzioni inaudite, perché mai visto prima. Ma il vero sconfitto della partita non è Londra, bensì Bruxelles.
Dal punto di vista commerciale Londra potrà rinegoziare gli accordi commerciali con l’Europa e a farlo sarà un nuovo premier, visto che David Cameron si è appena dimesso in seguito alla sconfitta del fronte del Remain da lui sostenuto. A parte l’impatto negativo iniziale e il crollo della sterlina, l’economia britannica si rimetterà. Anche perché governi e banche centrali interverranno con il loro bazooka fiscali e monetari.
Insomma, tra un po’ di tempo, passata la tempesta, tutto tornerà come prima. Dopo lo choc politico iniziale, anche il governo ritroverà una certa stabilità. Per ora è buio pesto e non è ben chiaro chi sarà a guidare Londra, visto che l’80% dei parlamentari era contrario alla Brexit.
Da parte loro i mercati, che odiano l’incertezza e agiscono d’impulso, subiranno giornate di altissima tensione. Non tanto per paura del futuro imprevedibile del Regno Unito, quanto più per timore che il programma di un’Europa sempre più unita e integrata e il piano stesso della moneta unica possa disintegrarsi. Lo stesso Mario Monti, tra i padri dell’euro, ha lanciato un avvertimento in questo senso. Il 24 giugno potrebbe essere ricordato come il giorno in cui il progetto dell’euro è stato compromesso per sempre.
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Perso 17% Pil, euro ha piedi d’argilla
Probabilmente la ragione principale dietro alla vittoria del fronte dei No all’Europa è stata
l’ondata migratoria unita agli insuccessi del progetto europeo, più che i fattori economici. La cosa sicura è che alla fine dei conti la vera sconfitta del voto è l’Unione Europea e non Londra. Con l’uscita del Regno Unito il blocco a 28 ha perso il 12% della popolazione e il
17% del Pil.
L’Ue si trova ora in un terreno sconosciuto e minato. Le autorità eurocrati e i falchi dell’integrazione si svegliano stamattina in pieno terremoto politico e dovranno affrontare un’altra crisi politico-socio-economica, persino di identità, con molti paesi che già hanno iniziato a chiedere un referendum simile a quello che è stato concesso al popolo britannico.
Dal punto di vista politico, la virata a destra dell’Est Europa e la virata a sinistra dei paesi del sud d’Europa è evidente e confutata dagli ultimi risultati politici. Il 26 giugno, gli occhi saranno puntati sulle
elezioni anticipate in Spagna. I populismi e il sentiment anti europeo è cresciuto negli ultimi anni anche per colpa dei fallimenti dell’Europa politica e la percezione di un progetto fondato su basi poco solide.
Per Londra il timore è di vedere capitali in fuga, la sterlina crollare sui minimi di 36 anni e soprattutto un periodo di incertezza che potrebbe anche durare cinque anni. A lungo termine Londra potrebbe uscirne anche rafforzata ma sul breve, l’impatto sarà negativo per via dell’instabilità dei mercati e dell’addio di alcune imprese.
Il voto è stato molto politico, connotato dalla paura dei cittadini britannici per l’immigrazione e per le proprie tasche.