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Bitcoin, tutti i limiti che gli investitori stanno sottovalutando

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Il Bitcoin è il “futuro” o solo un fenomeno-bolla? Con la stupefacente crescita dei prezzi della criptovaluta per eccellenza fra il 2020 e l’inizio del 2021 anche l’interesse degli investitori è senza dubbio aumentato. In più, varie istituzioni finanziarie mainstream hanno annunciato l’avvio di servizi collegati a Bitcoin e affini.
Oggi però il Bitcoin cede quasi il 10% e quota attorno a 50.500 dollari.

La spirale crescente degli entusiasmi, però, dovrà prima o poi fare i conti con le possibilità concrete che il Bitcoin possa mantenere le sue promesse. Bank of America, in un nuovo report, ha elencato una lunga lista di ragioni per le quali l’hype intorno al Bitcoin potrebbe, come già avvenuto nel recente passato, culminare in un nuovo crash.

BofA è ancora scettica

Anticipiamo subito le conclusioni degli analisti di BofA:

La ragione principale per detenere Bitcoin non è la diversificazione, i rendimenti stabili o la protezione dall’inflazione”, si legge, “ma piuttosto l’incremento del suo prezzo, un fattore che dipende dalla domanda di Bitcoin che supera l’offerta”.

Pertanto, Non c’è “alcuna buona ragione per possedere la criptovaluta a meno che non si vedano i prezzi salire”. Insomma, per BofA il Bitcoin è un asset che andrebbe acquistato solo per realizzare profitti nel breve termine.

I limiti del Bitcoin, secondo BofA

Le ragioni del scetticismo degli analisti di Bank of America nei confronti della criptovaluta sono numerose. Il rapporto fa subito notare che circa il 95% dell’offerta di Bitcoin è detenuta solo dal 2,4% dei conti – un primo elemento che aiuta a capire le ragioni alla base della sua elevata volatilità.

“Non solo l’offerta di BTC è limitata a 21 milioni, ma la crescita dell’offerta viene dimezzata ogni quattro anni, lasciando che sia la domanda il fattore chiave per la crescita dei prezzi”, prosegue il rapporto. Domanda giustificata non tanto dall’utilizzo del Bitcoin come mezzo di pagamento, quanto come asset di investimento speculativo. Del resto, ha ricordato BofA, questa criptovaluta può portare a termine 14mila transazioni all’ora, contro i 236 milioni del circuito Visa.

A fronte della scarsa praticità del Bitcoin come mezzo di pagamento, in molti hanno attribuito a questa criptovaluta una primaria funzione quale riserva di valore. Anche in questo caso, però, BofA ha introdotto elementi di forte dubbio. L’estrema volatilità infatti, non sarebbe compatibile con il concetto di asset sicuro, come lo sarebbe un “oro digitale” valido per proteggere il portafoglio dall’inflazione.

A completare il quadro ci sono almeno altri due elementi. Il primo riguarda l’impatto ambientale delle attività di mining necessarie per mantenere il Bitcoin operativo e che comportano l’utilizzo di elevate capacità di calcolo. Si calcola che ogni anno il Bitcoin network emetta 60 milioni di tonnellate di CO2, tante quante la Grecia ed è una quantità che tenderà ad aumentare con il tempo. Lo spirito dei tempi, e la sensibilità delle generazioni più giovani, non sembrano essere quelli più favorevoli a un’innovazione dai costi ambientali così elevati.

Infine c’è la minaccia dell’imminente introduzione delle monete digitali emesse dalle banche centrali. Si tratta di equivalenti immateriali di banconote, direttamente garantite dalle banche centrali che potrebbero consentire pagamenti rapidi bypassando non solo circuiti come Visa e Mastercard, ma anche l’eventuale migrazione dei consumatori verso le criptovalute. Secondo BofA queste monete digitali “di Stato” saranno per il Bitcoin “come la criptonite”.