ROMA (WSI) – Le azioni delle banche italiane offrono buone opportunità di investimento. A dirlo Andrea Caraceni, amministratore delegato di Cfo Sim a MilanoFinanza.
“Il settore bancario quotato a Piazza Affari sta vivendo un momento positivo. A parte due casi, Carige e Banca Popolare di Sondrio che non hanno completamente risolto i problemi di governance e di forma societaria, possiamo affermare che le banche italiane listate abbiano superato le difficoltà degli ultimi anni e si apprestino a chiudere l’anno in crescita”.
Promosse a pieni voti banche grandi come Unicredit e Intesa SanPaolo ma anche realtà più piccole come Credem, capace di adattarsi alla nuova realtà di mercato.
“Ci sono casi di eccellenza, sia in termini di dimensione, fondamentale per poter competere a livello internazionale, come Unicredit e Intesa San Paolo, sia di redditività con realtà più piccole come Credem , che hanno saputo modificarsi e adattarsi alla nuova realtà del mercato”.
Ma è dal confronto con le banche tedesche che – dice Caraceni – le italiane escono vincenti. In particolare con Deutsche Bank, protagonista in negativo negli ultimi tempi.
“Questo andamento positivo delle banche italiane emerge ancora maggiormente se confrontato con altre nazioni, su tutte la Germania. Il recente caso di Deutsche Bank , la cui controllata americana che gestisce asset per 133 miliardi di dollari, non ha passato la seconda parte degli stress test annuali della Federal Reserve per carenze ampie e critiche. Questo caso lo ritengo essere solo la punta di un iceberg, visto che le banche tedesche oltre ad avere in pancia ancora moltissimi derivati, hanno mantenuto un modello di business poco efficiente (…) Da sempre infatti sono afflitte da una bassa redditività di base e da un livello di costi operativi fra i più alti dell’Eurozona. Per ciò che riguarda i derivati attivi in portafoglio delle banche tedesche, il fenomeno è ancora più grave di quello che emerge, considerato che sono circa un terzo del totale europeo e che i titoli più opachi e rischiosi, quelli definiti di livello tre, sono circa il 40% del capitale netto tangibile, contro circa il 9% delle banche italiane”.