Società

Banche, Cucchiani: pensione con pacco di milioni

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MILANO (WSI) – Pensionato milionario a 63 anni. Questo il futuro che attende il manager Enrico Cucchiani, che ieri si è dimesso da amministratore delegato di Banca Intesa SanPaolo.

L’ex Ceo ha deciso di restare per altri sei mesi nella banca con il ruolo di direttore generale “senza poteri e deleghe”. In pratica non lavorando si garantirà una pensione milionaria, oltre ai sei mesi di lauto stipendio.

Secondo quanto risulta riportato da Radiocor, “il manager sarà legato alla banca ancora per un periodo attraverso un rapporto nel quale pur mantenendo la carica di direttore generale, che aveva in quanto amministratore delegato, sara’ privo di qualunque potere e delega”.

Il periodo “servira’ a Cucchiani per maturare i requisiti pensionistici. In questi sei mesi, la banca potra’ avvalersi della collaborazione del manager”. Il tutto a spese dei correntisti.

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Intesa Sanpaolo, su richiesta di Consob, con riferimento alla risoluzione del rapporto di lavoro con Enrico Tommaso Cucchiani precisa quanto segue:

Nella giornata di domenica 29 settembre 2013, Enrico Tommaso Cucchiani ha rassegnato le proprie dimissioni con decorrenza immediata dalla carica di componente il Consiglio di Gestione, Consigliere Delegato e CEO. Per effetto di tali dimissioni cessa il riconoscimento dei relativi compensi. Il Consiglio di Gestione riunitosi nella serata del 29 settembre ha preso atto delle dimissioni dalla carica di Consigliere e dalle funzioni ad essa collegate.

Per quanto riguarda il rapporto di lavoro subordinato di Enrico Tommaso Cucchiani, il Consiglio di Gestione ha deliberato di avvalersi della facolta’ di recesso unilaterale dal rapporto medesimo con effetto dal 1* aprile 2014. In relazione a tale risoluzione trovano applicazione le condizioni economiche delineate al momento dell’assunzione di Enrico Tommaso Cucchiani e rese pubbliche nelle Relazioni sulle Remunerazioni e sul Governo Societario pubblicate nel 2012 e nel 2013 che prevedono la corresponsione di Euro 3.600.000.

Fino a tale data, Enrico Tommaso Cucchiani svolgera’ le attivita’ che gli saranno affidate dal CEO, al quale riferira’, e percepira’ pro rata temporis la retribuzione prevista dal suo contratto di assunzione, con il correlato trattamento previdenziale di cui alla citata Relazione sulle Remunerazioni e il Governo Societario. Non e’ stato previsto il riconoscimento delle componenti differite derivanti dall’applicazione del sistema incentivante. Non e’ stato previsto alcun patto di non concorrenza. Quanto sopra e’ stato deliberato dal Consiglio di Gestione in applicazione delle condizioni contrattuali ed economiche gia’ previste per il rapporto dirigenziale dell’interessato.

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Il punto su Cucchiani

di Francesco Manacorda

C’è voluto un discreto intervento della Consob e di Borsa italiana per aprire almeno un poco il sipario che Intesa Sanpaolo ha calato sulle dimissioni di Enrico Cucchiani. Dopo il blitz di domenica sera – consiglieri di sorveglianza e di gestione convocati al volo, Cucchiani che «lascia con effetto immediato la carica di consigliere delegato e Ceo», al suo posto il vicario Carlo Messina – ieri mattina la seconda banca del Paese ha dovuto spiegare qualcosa sui motivi che nel giro di una manciata di ore sono costati il posto al suo numero uno operativo. Il tutto mentre il titolo perdeva il 3,54%, oltre il doppio dell’indice di Borsa.

La precisazione di Intesa Sanpaolo afferma che Cucchiani ha lasciato «alla luce della necessità per la banca nel contesto economico attuale e prospettico – di un maggior grado di incidenza sulle dinamiche operative aziendali e di raccordo delle azioni strategiche e gestionali, al fine di accelerare l’effettiva realizzazione delle potenzialità del gruppo». Urge traduzione? Cucchiani – è la tesi – non si sporcava abbastanza le mani nella gestione della banca e non era in grado di trasformare in decisioni manageriali le strategie decise dagli organi sociali. E siccome i tempi sono duri e la banca deve funzionare al meglio, ecco la decisione.

Circolano anche spiegazioni diverse dell’uscita dell’ormai ex Ceo. Quella più accreditata dai suoi sostenitori è che paghi un’attitudine poco conciliante verso alcune operazioni «di sistema» e in perdita secca, come Telco o Alitalia, e verso i prestiti difficilmente recuperabili concessi a Romain Zaleski, imprenditore in ottimi rapporti con Giovanni Bazoli, che della banca è presidente del consiglio di sorveglianza.

La versione ufficiale è però quella che conta e che è contata anche l’altra sera, quando di fronte alle dimissioni di Cucchiani il consiglio di sorveglianza non ha avuto nessuna possibilità di discutere il tema. Bisognava esserci – dice del resto chi domenica c’era davvero – nei saloni della Ca’ de Sass, la sede milanese della banca, per godersi la partita a poker giocata e vinta da Bazoli contro il Ceo.

Per oltre due ore i consiglieri di gestione e quelli di sorveglianza, poco meno di trenta persone in tutto, rigorosamente in abiti formali – tranne un vicepresidente che convocato mentre era in gita si è presentato in jeans – sono stati tenuti in attesa al primo piano del palazzo, mentre nelle stanze vicine alle loro si svolgeva una trattativa serratissima con i legali di Cucchiani.

La partita di Bazoli, infatti era chiara: lunedì mattina Intesa-Sanpaolo doveva avere un nuovo consigliere delegato. Ma se Cucchiani non avesse deciso di dimettersi «sua sponte» sarebbe toccato al consiglio di sorveglianza sfiduciare il manager. Un percorso semplice?

Non tanto: se il massimo organo della banca ha il potere di indicare al consiglio di gestione il consigliere delegato e Ceo, non è così chiaro se abbia anche il potere di revocarlo senza che siano intervenuti fatti di estrema gravità. E dunque una revoca di Cucchiani avrebbe significato affrontare un serio dibattito sulle ragioni della mossa.

Ma il dibattito, per l’appunto, non c’è stato. Con la «moral suasion» dei due consigli già convocati e pronti a decidere quel che sarebbe stato più necessario, Bazoli ha avuto buon gioco a convincere Cucchiani alle dimissioni, mentre nelle sale nobili i consiglieri si stupivano dell’attesa e si rammaricavano un po’ che di domenica sera latitassero i raffinati spuntini – al loro posto solo un po’ di parmigiano – che di solito accompagnano le sedute più lunghe.

Ma anche Cucchiani non ha lasciato il tavolo delle trattative a mani vuote. Si è dimesso sì dalle cariche di consigliere delegato e di Ceo, preparandosi a incassare la liquidazione da 3,6 milioni circa che gli spetta, ma non ha lasciato il posto di direttore generale dell’istituto. Dalla direzione generale, ha detto, si dimetterà solo tra sei mesi, nel marzo 2014. Così maturerà i requisiti per la pensione, incasserà nel periodo circa 1,6 milioni lordi di stipendi e manterrà alcuni «benefit» come la vettura con autista.

Altra decisione presa dal consiglio di sorveglianza è l’ingresso nel consiglio di gestione di Francesco Micheli. La nomina è passata con la sola astensione del consigliere di sorveglianza Pietro Garibaldi e riempie tutte le caselle dell’organismo, ostacolando così di fatto l’ingresso nello stesso consiglio del responsabile della Banca dei territori (di cui per ora l’interim resta a Messina) che ha sede a Torino. In una lettura «geopolitica» degli equilibri si tratta dunque di un punto a sfavore della Compagnia di Sanpaolo, che pure è primo socio della banca con il 9,9%.

Così come qualche delusione ha dovuto incassare domenica il presidente della Compagnia Sergio Chiamparino, che avrebbe voluto vedere uscire dal consiglio di sorveglianza un testo in cui si citava esplicitamente l’obiettivo di un cambiamento di governance, passando dal sistema duale in vigore al sistema tradizionale. Così non è stato e per ora il superamento del duale – di cui hanno parlato anche ieri le fondazioni azioniste in un vertice informale rimane un obiettivo. Da raggiungere, però, non si sa quando.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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Cucchiani: si racconta ancor oggi a mezza voce nelle cene milanesi come per strappare un sì all’ex Allianz ad alta frequentazione di meeting Aspen e Bilderberg fosse stato necessario scomodare la diplomazia istituzionale, l’entourage di Angela Merkel e il Quirinale.

di Paola Pica

L’ultimo blitz, in Ca’ de Sass, lo si era visto 22 mesi fa: in una sola settimana dall’ uscita di Corrado Passera, Giovanni Bazoli aveva ridato una guida alla banca chiamando da Monaco di Baviera un manager italiano di profilo internazionale come Enrico Cucchiani. Si racconta ancor oggi a mezza voce nelle cene milanesi come per strappare un sì all’ex Allianz ad alta frequentazione di meeting Aspen e Bilderberg fosse stato necessario scomodare la diplomazia istituzionale, l’entourage di Angela Merkel e il Quirinale.

Il benestare di Berlino offriva una sponda di relativa tranquillità in quei giorni di spread di impazzito, crisi del debito e rischio baratro per l’Italia. Alla formazione del governo tecnico di Mario Monti la prima banca del Paese consegnava suo malgrado due esponenti chiave : il capo azienda Passera come ministro dello Sviluppo economico e la vicepresidente di sorveglianza Elsa Fornero, prima donna al vertice di un grande gruppo del credito, come titolare al Lavoro, Welfare e Pari opportunità.

Poteva sorprendere la scelta, ricaduta su un «assicuratore» sia pure si alto standing, per la guida della superbanca. I media sottolinearono la militanza di Cucchiani nel consiglio di amministrazione del primo concorrente di Intesa, Unicredit, in qualità del socio storico di Piazza Cordusio, Ras-Allianz, richiamando le cronache sui diversi ruoli giocati dai rappresentanti degli azionisti nella defenestrazione di Alessandro Profumo.

Un po’ «tedesco» (ma in realtà gli è più congeniale la lingua inglese) e po’ esponente de capitalismo relazionale domestico, milanese e bocconiano, su Cucchiani pesavano molte aspettative al momento del suo rientro in Italia. Per Bazoli il risultato importante era aver evitato il vuoto del ricambio mantenendo la banca in condizioni di stabilità. Nelle dichiarazioni rese poco meno di un anno fa, era il 24 novembre, il professore esprimeva soddisfazione per la scelta «rapida e unanime» sulla successione a Passera.

Con la stessa rapidità d’esecuzione, esattamente una settimana, il rapporto con Cucchiani si è risolto nella nerissima domenica della fine delle larghe intese e della crisi del governo Letta. Lasciando correre vicine, una volta di più, le vicende politiche e quelle della banca rinata dalle cenere del Banco Ambrosiano.

Si è detto che la soluzione-lampo si è resa necessaria prima della riapertura dei mercati ai quali Intesa era già stata fin troppo esposta nelle ultime sedute di fibrillazione per l’annunciata rottura consumata al vertice, tra Cucchiani e le fondazioni socie. È stato possibile chiarire solo il giorno dopo i consigli straordinari convocati in fretta e furia in via Monte di Pietà nel tardo pomeriggio domenica 29 settembre, che i due presidenti Bazoli (sorveglianza) e Gian Maria Gros-Pietro (gestione) non avevano ancora in tasca l’accordo sulle dimissioni del consigliere delegato.

I consiglieri allertati il sabato sera per la domenica alle 18 si sono presentati puntuali in Ca’ de Sass per l’inizio delle riunioni. Ma poi hanno aspettato tre ore per il protrarsi delle trattative tra gli avvocati delle parti. I consigli finiti a tarda sera sono iniziati alle 21: solo a quell’ora è stato possibile annunciare un accordo per la separazione consensuale celebrata nei successivi comunicati. Il divorzio però è ancora in via di perfezionamento.
Cucchiani si è dimesso da consigliere delegato ma ha chiesto e ottenuto di restare direttore generale (senza deleghe e senza incarichi operativi) ancora per un semestre, fino al prossimo marzo. Da dipendente continuerà a percepire una retribuzione che si aggiungerà alla buonuscita da 3,6 milioni contrattata domenica sera dai suoi legali.

Una liquidazione calcolata sulla base di quanto previsto dal suo contratto. Restare in forze fino a primavera permetterà a Cucchiani, 63 anni, di maturare i requisiti per la pensione. Il finale a sorpresa della pensione ha fatto infuriare i sindacati e però ridimensiona di colpo quell’immagine dell’uomo di potere alla conquista di Banca Intesa che il gran vociferare degli ultimi giorni aveva alimentato.

La cautela con la quale la banca spiega le ragioni di una così rapida ascesa e caduta di Cucchiani si deve dunque al fatto che la posizione contrattuale non è ancora risolta.

L’attivismo non condiviso del consigliere delegato presso (potenziali) investitori internazionali ha allarmato le fondazioni socie con le quali i rapporti si via via raffreddati, fino al gelo delle ultime settimane quando si sono intensificate le missioni del manager negli Usa.

Ma è sul fronte interno che si è aperta la falla insanabile. A Cucchiani è stato fatale il fatto di non aver mai fatto squadra. Il mancato coinvolgimento della prima linea di manager si è accompagnato alla creazione ex novo, e reclutata dall’esterno, di una squadra di assistenti e consulenti a suo diretto riporto e senza alcun contatto con la struttura. Con il ticket collaudato di Carlo Messina, Ceo, e Gaetano Miccichè, il capo del «corporate» che dovrebbe assumere il ruolo di vicario, si torna a voltar pagina. Ma la composizione del puzzle dei fatti è solo all’inizio.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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