Terminata la stagione delle trimestrali in Usa, gli analisti di Wall Street hanno rivisto al ribasso le stime sugli utili societari statunitensi nel primo trimestre e ora gli si aspettano il primo calo su base annua in quasi tre anni. Nel dettaglio le stime indicano un calo dello 0,8 per cento degli utili per azione in questo trimestre, secondo FactSet, una drastica riduzione rispetto alla previsione di crescita del 3,3 per cento a fine dicembre. E se le stime fossero azzeccate, sarebbe la prima contrazione di questo tipo dal secondo trimestre del 2016.
Dopo gli Usa inizia la stagione delle trimestrali italiana che entra nel vivo proprio questa settimana. In un periodo particolarmente critico per le banche, tra martedì e giovedì tutte le principali società del settore creditizio pubblicano i conti. Si parte domani, 5 febbraio con Ansaldo Sts, FinecoBank, Intesa Sanpaolo, il 6 febbraio con Banco Bpm, Banco di Sardegna, Creval, Enel, Unicredit, il 7 febbraio è la volta di Autogrill, Banca Generali (preliminari), Monte dei Paschi di Siena, Banca Profilo (preliminari), Banco Desio, Bper Banca (preliminari), Buzzi Unicem (preconsutivo), Cnh industrial, Credem (preliminari), Fca, Mediobanca, Piquadro, Ubi Banca, Unipol, Unipol Sai.
E in attesa di conoscere i conti, sembrano in miglioramento le Non performing exposures (NPE) del sistema bancario italiano. Secondo uno studio elaborato dalla società di consulenza di Ernst & Young, il totale al lordo delle svalutazioni è passato dai 341 miliardi del dicembre 2015 ai 209 miliardi del settembre 2018. In particolare, secondo il report, la tendenza al derisking proseguirà anche nel 2019 individuato come l’anno di svolta per quella particolare categoria di crediti deteriorati chiamati UTP (Unlikely to pay, che con gli NPL formano gli NPE) che nei bilanci delle banche italiane rappresentano un’esposizione netta di circa 52 miliardi.
“Nel corso dell’anno è proseguito l’impegno delle principali autorità europee per la riduzione dello stock di NPE e la definizione di livelli comuni di accantonamento, i cui impatti saranno significativi anche nei prossimi anni”.
Sulle banche italiane però pesa ancora l’incertezza dettata dalla politica che ha portato ad una ritirata complessiva degli istituti del paese, grandi, medi o piccoli, dalle prime cinque economie europee, arrivata a valere l’equivalente di quaranta miliardi di dollari. Ma è soprattutto negli ultimi mesi, come riporta il Corriere della Sera, che si è assistito ad una ritirata molto rapida.
In alcuni casi il taglio dell’esposizione degli istituti italiani si è consumato durante i sei mesi centrali del 2018, come in Germania (meno 17 miliardi) o in Spagna (meno sette miliardi). In altri invece la ritirata si è concentrata in maniera più precipitosa nei tre mesi fino a fine settembre 2018, come è successo con la Francia (meno sei miliardi) o con la Gran Bretagna (meno sette miliardi). Solo verso gli Stati Uniti le banche italiane si sono avventurate ad aumentare la loro esposizione nell’ultimo periodo. Naturalmente le banche italiane restano ancora investite nel resto d’Europa e del mondo per centinaia di miliardi di dollari (la Bri fornisce i dati in valuta statunitense).