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Aziende fantasma: rubati 5 miliardi

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Roma – Fabbriche fantasma al Sud, finti corsi di formazione al Nord. E in tutte le regioni finte fatturazioni per ottenere soldi nel settore agricolo. È così che gli italiani hanno scalato – fino a raggiungere un poco invidiabile primo posto – le classifiche delle frodi all’Unione europea. Basta leggere gli ultimi dati dell’Olaf, l’organismo della Commissione che si occupa delle irregolarità nell’utilizzo dei fondi: le ultime frodi accertate erano state 1.131 nel 2009, per un ammontare di 328 milioni di euro. Trend confermato e in crescita nel 2010.

Secondo la Guardia di finanza in Calabria e Sicilia, due sole regioni, lo scorso anno sono state denunciate frodi ai danni della Ue per 212 milioni di euro. Il 2011? I primi cinque mesi promettono bene. L’ultimo caso, di pochi giorni fa, è quello delle società milanesi che avrebbero messo in piedi corsi di formazione fantasma per 50 milioni di euro.

E il comandante della Gdf in Sicilia, Domenico Achille, già in aprile aveva lanciato un altro allarme: “I finanziamenti europei sono entrati nel mirino della criminalità organizzata”. Peccato però che questa sia solo la punta dell’iceberg: l’ex direttore dell’Olaf, Nicholas Llet, ha dichiarato alla Bbc che “gli Stati membri perseguono solo il 7 per cento dei casi sospetti”. Il che significa, che solo in Italia sarebbero stati truffati 4,6 miliardi di euro.

Fra l’altro, spiegano poi i sindacati, l’attività di questa grande Azienda Italia specializzata
nel truffare l’Europa porta con sé macerie sociali e ambientali: operai che da un giorno all’altro finiscono in mobilità, cattedrali di cemento che si ergono vuote e abbandonate nel cuore delle aree industriali da Napoli a Palermo, da Foggia a Cosenza. “Ci troviamo così a dover difendere lavoratori truffati come lo è stata l’Unione europea da pseudo imprenditori che una volta ottenuti i finanziamenti vengono fermati con l’accusa di truffa. O, peggio, finito il periodo di start-up dichiarano crisi di mercato e fuggono via”, dicono i segretari della Fiom Cgil di mezza Italia. Ma chi sono i signori della truffa? Piccoli imbroglioni di provincia o gruppi organizzati in “centrali” specializzate nel canalizzare i soldi europei?

SCATOLE VUOTE
L’Olaf nel suo report annuale analizza tutti i paesi che a vario titolo hanno ricevuto finanziamenti dall’Unione nella programmazione 2000-2006 e in quella 2007-2013, quest’ultima comunque ancora al palo con una spesa media di appena il 15 per cento. Sul fronte delle truffe, i 320,1 milioni di euro accertati (sul totale di 28 miliardi di fondi erogati) sono solo la parte più evidente di un sistema illegale più ampio. Se oltre alle frodi si aggiungono le irregolarità, cioè mancato avvio del progetto e non corretta presentazione dei documenti, i casi salgono a quota 1.491 per 422 milioni di euro, di cui sono stati recuperati appena 50 milioni di euro.

Il resto è svanito nel nulla, e il dipartimento Politiche comunitarie italiano calcola ancora in 400 milioni di euro la cifra da chiedere indietro a società che hanno ottenuto illecitamente i finanziamenti. Al secondo posto in questa classifica dei furbetti d’Europa si piazza la Polonia, che a fronte di 7,9 miliardi di euro di contributi erogati ha registrato truffe per 65 milioni, con una percentuale dello 0,8. La Germania, l’unico paese che ha avuto più soldi dell’Italia (ben 29 miliardi di euro) ha accertato appena 361 frodi per un importo di 34 milioni di euro. Conti alla mano, le truffe in Italia rappresentano più della metà di quelle realizzate in tutti gli altri paesi dell’Unione. Ma come si fa a truffare l’Europa? Quali sono le tecniche illegali più utilizzate?

La prima è quella della finta certificazione d’investimenti privati necessari per poter accedere ai fondi di Bruxelles. A Cosenza, per esempio, è stata scoperta una truffa da 25 milioni di euro: soldi incassati da una società che sosteneva di avere ingenti capitali arrivati da soci esteri, ma che in realtà era una scatola vuota. Infatti erano state create ben 11 società nel settore della produzione di carta che formalmente operavano in mezzo mondo, dalla Spagna a Dubai, ma che a loro volta erano altre scatole vuote. Con la cessione di quote di queste società tra loro stesse erano stati creati capitali fittizi per cofinanziare i progetti.

Un altro meccanismo tra i più diffusi per truffare Bruxelles è quello della falsa attestazione di spese con fatture taroccate per dimostrare di aver acquistato impianti o macchinari: a Ragusa sono così finiti in manette 11 imprenditori agricoli che avevano finto di acquistare macchine per le loro aziende, incassando 1,3 milioni di euro di contributi.

Sempre sul fronte certificazioni, molti per ottenere i contributi denunciano di avere nella loro disponibilità aree e terreni che in realtà non hanno. A Trento sono stati condannati ben 28 allevatori che hanno incassato 10 milioni di euro sostenendo di portare al pascolo le mucche in terreni che erano solo costoni rocciosi.

Ma il vero capolavoro della truffa l’hanno messo in piedi 23 piccoli imprenditori di Milano, Bergamo, Varese, Modena, Cosenza, Crotone, Catanzaro e Lamezia Terme: con false fatture emesse da società estere, con sede a Panama e alle Isole Vergini, avevano finto di avviare un’attività industriale. In più hanno chiesto perfino il rimborso dell’Iva sulle stesse finte fatture. Totale della truffa, 20 milioni di euro.

LE FABBRICHE FANTASMA
C’è però un rovescio della medaglia di questa macchina delle truffe: perché appunto a essere gabbata non è solo l’Ue, che difficilmente riesce poi a recuperare i fondi, ma pagano anche operai e dipendenti che per qualche mese avevano pensato di aver raggiunto il tanto ambito posto di lavoro, e poi si sono ritrovati con un pugno di mosche. Ne sanno qualcosa i 120 dipendenti della Blue Boat, azienda nel settore della cantieristica navale che nel 2008 ha aperto i battenti nell’area industriale di Termini Imerese, a due passi da Palermo. Gli operai hanno lavorato poco più di un anno. Poi nel marzo del 2010 i titolari dell’azienda, Roberto Grippi e Salvatore Catalano, sono stati arrestati con l’accusa di aver ottenuto false fatture per 90 milioni di euro, il tutto per incassare 30 milioni di fondi Ue. Adesso il processo stabilirà se davvero c’è stata truffa o meno, di certo però gli operai da allora vivono un incubo: “L’azienda è stata sequestrata e oggi è gestita dall’Agenzia del demanio, che di punto in bianco ha aperto la procedura di mobilità per tutti i lavoratori”, racconta Roberto Mastrosimone, segretario della Fiom di Palermo. Che aggiunge: “Ci vorrebbe una seria selezione anche nel mondo imprenditoriale: il danno sociale fatto da finti manager e finti imprenditori è incalcolabile”. Oggi la sede della Blue Boat è abbandonata, e tutto il cantiere è deserto. Stesso discorso accade a Cosenza. Qui due mega costruzioni di cemento sono rimaste scheletri vuoti: si tratta di due aziende, la Sensitec e la Printec, che hanno incassato 6 milioni di euro di contributi europei per avviare la produzione di contatori per gas liquido e oggetti da cancelleria. Tra i finanziatori dell’iniziativa c’erano alcuni industriali tedeschi, che secondo la Gdf avevano messo in piedi un giro di fatture false e acquistato macchinari fatiscenti per fingere d’iniziare la produzione assumendo una cinquantina di operai. Scoperto l’inganno, il mese scorso ne è stato richiesto il giudizio insieme ad alcuni colletti bianchi della zona che avevano certificato il collaudo degli impianti fasulli.

Spesso ad attrarre finti imprenditori sono proprio le aree del Sud che mettono a disposizione contributi pubblici per incentivare l’apertura di nuove aziende, che rimangono poi cattedrali nel deserto. Come accaduto nel “patto d’area di Manfredonia”, in Puglia. Qui la Menti group, società vicentina, era sbarcata nel 2003 per aprire uno stabilimento di lavorazione del ferro e fabbricare utensili. “Questa società ha ottenuto le agevolazioni con fondi statali ed europei, ha assunto una ventina di operai, ma poi un blitz della Finanza ha svelato l’inganno – racconta Antonio La Daga, segretario della Fiom Cgil di Foggia – Il meccanismo era semplice: l’azienda comprava macchinari nuovi, beneficiando dei contributi, poi li rivendeva e acquistava degli impianti di seconda mano”. Da sei anni la fabbrica è ferma.
Spesso invece gli impianti rimangono solo sulla carta. O meglio, ci sono nella documentazione necessaria a ottenere i fondi, ma nella realtà non esistono: a Siracusa un gruppo d’imprenditori siciliani e milanesi ha utilizzato 10 milioni di euro di contributi europei non per realizzare un impianto fotovoltaico, come da progetto, ma per acquistare Bot e Btp.

IL MASTER INESISTENTE
Ma in Italia quali sono le regioni con il tasso più alto di truffe? E, soprattutto, quali sono i settori più a rischio oggi? La Guardia di finanzia ci tiene a dire che l’Italia è lo Stato che fa il maggior numero di controlli. Il comandante del nucleo per la repressioni frodi della presidenza del Consiglio, Gennaro Vecchione, in questi giorni visita le regioni del Sud per presentare il piano operativo della Fiamme gialle contro le truffe. I dati che va snocciolando fanno paura. Soltanto in Calabria sono state denunciate frodi nel 2010 per un importo record di 145 milioni di euro. In Sicilia le frodi segnalate dalla Finanza sono state 206 per 67,2 milioni di euro, il 73 per cento in più dell’anno precedente. Per di più c’è una nuova frontiera della frodi: il 2010 e questo scorcio di 2011 hanno alzato il velo su un settore ad alto rischio. Quello della formazione e dell’istruzione, che può contare su una dotazione di contributi europei di quasi 2 miliardi di euro. La settimana scorsa a Milano la Commissione europea ha annunciato di volersi costituire parte civile in un eventuale processo per una truffa ai danni della Ue pari a 50 milioni di euro per corsi di formazione “inventati”, come sostiene la Procura milanese che ha notificato l’avviso di chiusura indagini a 23 persone. Secondo i magistrati, attraverso una finta partnership tra società con sede in Inghilterra, Francia, Grecia, Austria, Svezia, Slovenia e Polonia, un gruppo d’imprenditori milanesi ha ottenuto finanziamenti per 22 corsi di formazione mai realizzati. Se confermata da una sentenza, si tratterebbe di una delle più grandi truffe ai danni della Ue.

Il motivo di questa escalation di truffe? Il direttore del Censis, Giuseppe Roma, non ha dubbi: “In Italia ci s’inventa imprenditori pur di accaparrarsi il finanziamento pubblico, visto come un fine e non come un mezzo per sviluppare la propria attività – dice Roma – Poi c’è un problema legato alla burocrazia italiana che disperde i fondi in mille rivoli e rende più difficile i controlli: secondo i nostri dati con la vecchia programmazione 2000-2006 sono stati finanziati ben 280 mila attività con un importo medio di meno di 100 mila euro, il che significa fare assistenza e non puntare allo sviluppo”.

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