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007 del fisco: i 50 uomini incubo dei ricchi evasori all’estero

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ROMA (WSI) – Si muovono nella massima riservatezza, conoscono le lingue, i sistemi informatici più avanzati, la giurisprudenza e i bilanci, garantiscono anonimato ed evitano imbarazzi offrendo sconti congrui ma privi di discrezionalità. In cambio vogliono lealtà assoluta e pagamento sull’unghia fino all’ultimo centesimo di ogni euro evaso e portato oltre frontiera negli ultimi 10 anni.

Il bello è che ottengono tutto ciò «spontaneamente», come ha dimostrato l’ultima vicenda dei Prada che hanno riportato in Italia il loro patrimonio estero, pagando ciò che dovevano al fisco: ovvero 420 milioni di euro interamente incassati dallo Stato.

I “cacciatori” di patrimoni all’estero sono una cinquantina di uomini voluti dall’Erario sparsi in sette sedi da un capo all’altro della penisola, coordinati da Antonio Martino, già colonnello della GdF a Milano sul fronte delle inchieste finanziarie più scottanti (da Mani Pulite a Parmalat) e rappresentano l’ultima frontiera della lotta all’evasione messa in campo dallo Stato: incubo dei ricchi evasori all’estero ma anche una certezza visto che finora, con un programma sperimentale entrato in vigore nello scorso settembre, hanno incamerato quasi 700 milioni.

Un successo senza precedenti, soprattutto se si pensa che il risultato è stato ottenuto in poco più di sei mesi e che, per legge, questi soldi andranno ad abbattere il carico fiscale per l’intera collettività. Briciole, al momento. Ma, calcola la Banca d’Italia, i capitali all’estero si attestano tra i 150 e i 180 miliardi di euro. Oggi il consiglio dei ministri approverà un decreto di legge allo studio da tempo, quello sulal la “volountary disclosure”, una sorta di autodenuncia volontaria che garantirà il rientro dei capitali con uno sconto sulle sanzioni. Poi arriverà il reato di autoriciclaggio. E il recupero aumenterà in maniera esponenziale.

L’Ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali, questo il nome per esteso, è una creatura nata e cresciuta tra gli uffici della procura di Milano e l’erario di Roma e si muove su due binari forgiati in una commissione di cui fanno parte uomini di Bankitalia, della Gdf e del Fisco, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco, da cui prenderà il nome la nuova norma in materia di evasione fiscale che prevederà, nel decreto legge in arrivo dal ministero dell’Economia, una finestra temporale fino al settembre 2016 per la regolarizzazione volontaria.

Si tratta di due leggi già sperimentate con successo all’estero, due facce della stessa medaglia: con la prima il contribuente ha la possibilità di aderire volontariamente all’accertamento fiscale sui propri capitali all’estero, usufruendo del 50 per cento di sconto (sanzioni comprese), pagando tutto in un’unica soluzione ed evitando il procedimento penale. Con alcune, fondamentali, distinzioni: se il capitale proviene da uno Stato nelle «black list», ovvero privo di accordi e di scambio d’informazioni con l’Italia, viene considerato completamente evaso e lo sconto si ferma a un minimo ridotto di un quarto; se arriva invece da un paese nelle «white list», le percentuali di tassazione diminuiscono della metà. Inoltre, se alla base della creazione del capitale c’è una frode fiscale (cioè l’uso di fatture false o società fantasma) con la “voluntary” le pene vengono ridotte fino alla metà e la Procura non potrà sequestrare le somme a garanzia dell’imposta evasa. Nulla a che vedere con lo scudo fiscale, visto che in questo caso il presupposto resta il pagamento integrale delle tasse evase.

Con la seconda, l’autoriciclaggio, se l’evasore intende traccheggiare, rischia, oltre a tutto il resto, una pena che va dai 4 agli 8 anni di reclusione perché i soldi dell’evasione trasferiti all’estero vengono considerati riciclaggio. Infine – ultima ma non secondaria regola – si potrà beneficiare del trattamento premiale solo se il contribuente non è stato sottoposto ad alcun tipo di accertamento fiscale.

Una tenaglia antievasione resa possibile in realtà dall’allineamento dei paesi ex paradisi fiscali, come Singapore o la Svizzera, dove le leggi prevedono ormai pesanti sanzioni per quei banchieri, fiduciari, commercialisti che accettano di trattare capitali non in regola con il fisco dei paesi di provenienza. E che diventeranno ancora più rigidi, nel caso della Confederazione Elvetica, con gli accordi che l’Italia, buona ultima, dovrebbe firmare a fine mese a Berna.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Stampa – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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ROMA (WSI) – Hanno aderito già in duecento, ma il numero dei contribuenti che hanno deciso di avvalersi della sanatoria è destinato ad aumentare con l’approssimarsi della scadenza. Fissata, dalla Legge di stabilità, al 28 febbraio.

Termine entro il quale, ricorda Equitalia, i contribuenti avranno la possibilità di avvalersi della «definizione agevolata delle cartelle» esattoriali pagando, in un’unica soluzione e senza interessi di mora e di ritardata iscrizione a ruolo, cartelle e avvisi di accertamento esecutivi affidati alla società di riscossione entro il 31 ottobre 2013.

Rientrano nella sanatoria entrate erariali (Irpef e Iva) e, limitatamente agli interessi di mora, entrate non erariali come il bollo auto e le multe per violazione del codice della strada elevate da Comuni e Prefetture.

Restano, invece, escluse le somme dovute per effetto di sentenze di condanna della Corte dei Conti, i contributi richiesti dagli enti previdenziali (Inps e Inail), i tributi locali non riscossi da Equitalia e le richieste di pagamento provenienti da enti non compresi nell’elenco consultabile sul sito internet della società. Ma a proposito di imposte, mentre il fisco allenta le sue maglie per andare incontro agli italiani strozzati dalla crisi, divulgando le istruzioni per l’uso per avvalersi delle agevolazioni, dalla Guardia di Finanza arrivano, nello stesso giorno, notizie tutt’altro che confortanti.

Una vera e propria «black list», lunga e circostanziata, quella redatta dalle fiamme gialle. Dentro c’è di tutto: dall’evasione fiscale internazionale, all’economia sommersa passando per le frodi tributarie. Ci sono, soprattutto, i nomi degli oltre 12mila italiani che nel 2013 si sono macchiati di reati fiscali. Insieme a quelli degli 8mila evasori totali dei quali il fisco ignorava perfino l’esistenza. Un pezzo d’Italia fuori legge, insomma, stanata dai baschi verdi in cui non poteva mancare neppure un esercito irregolare di 27mila lavoratori in nero. Senza contare i 298 milioni di euro, tra contanti e titoli di credito, intercettati ai valichi di frontiera, pronti a sfuggire all’erario nel doppio fondo del bagagliaio.

Insomma, un vero e proprio bollettino di guerra. Nel dettaglio, sono 12.726 le persone denunciate per frodi o reati fiscali: 202 sono finite agli arresti. La casistica è ampia: 5.776 violazioni per utilizzo o emissione di fatture false, 534 mancati versamenti Iva, 2.903 omesse dichiarazioni dei redditi, 1.967 episodi di occultamento o distruzione della contabilità. Se gli 8.315 evasori totali stanati dalla Finanza hanno occultato al fisco redditi per 16,1 miliardi di euro, ammontano, invece, a 15,1 miliardi i ricavi non dichiarati sul versante dell’evasione internazionale. Per lo più casi di trasferimenti «di comodo» della residenza di persone fisiche o giuridiche (società) nei cosiddetti paradisi fiscali o, più semplicemente, di sedi secondarie non dichiarate al fisco di società con sede estera che svolgono i Italia attività soggette a tassazione.

Nelle casse dell’erario mancano all’appello anche i 20,7 miliardi non contabilizzati e i costi non deducibili rilevati in relazione a diversi fenomeni evasivi. Mentre ammonta a 4,9 miliardi di euro l’Iva evasa, di cui 2 miliardi riconducibili alle frodi «carosello», basate cioè su fittizie transazioni commerciali con l’estero. Poi ci sono i 145 milioni di imposte evase nel settore delle accise.

Numeri a fronte dei quali la Guardia di Finanza ha già iniziato il recupero, attraverso l’adesione integrale dei contribuenti ai verbali di contestazione, di circa 4,2 miliardi. Avviando, in parallelo, a carico dei responsabili di frodi fiscali, procedure di sequestro di beni mobili, immobili, valuta e conti correnti per 4,6 miliardi (già eseguite per 1,4 miliardi).

Incassando il plauso di Confcommercio: «Bene il contrasto e la lotta all’evasione e all’elusione, perché solo così è possibile recuperare le risorse necessarie, per ridurre la pressione fiscale, il cui livello attuale è incompatibile con qualsiasi ipotesi di crescita, e destinarle al fondo taglia-tasse istituito dalla Legge di stabilità».

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