Economia

Terremoto Casa Bianca non finisce qui: Trump vuole governo di falchi

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Il terremoto alla Casa Bianca non finisce con il siluramento, che era nell’aria, del presidente americano del segretario di Stato (ministro degli esteri) Rex Tilleron. Trump lo sostituirà con l’attuale direttore della Cia, Mike Pompeo, un uomo vicino al magnate immobiliare, innescando così un domino di nuove nomine. Altre teste sono destinate infatti a cadere.

La decisione è stata confermata da Trump in un tweet:

“Ho deciso da solo, ora Tillerson sarà più felice. Con Rex Tillerson non ci trovavamo d’accordo su alcune cose. Sull’accordo (sul nucleare) iraniano non la pensiamo allo stesso modo”.

Da settimane girano voci di altri licenziamenti che dovrebbero interessare il ministero della Giustizia (guidato da Jeff Sessions) e il posto di consulente per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, H.R. McMaster. A giudicare dal profilo politico degli uomini che stanno per fare le valigie o che sono già stati allontanati, si deduce chiaramente che per la cerchia di collaboratori più stretti, Donald Trump vuole che domino i cosiddetti falchi.

Per tarpare le ali alla fazione moderata, Trump ha prima cacciato Gary Cohn, consulente economico tra gli architetti della misura di taglio alle tasse vicino a Wall Street. Ora sceglie al posto di Tillerson, ex Ceo di ExxonMobil, Pompeo, fautore della linea dura con Corea del Nord e Iran, e personalità di spicco che ha sempre difeso il presidente sullo scandalo del Russiagate, minimizzandolo.

Gina Haspel, che lavora dal 1985 alla CIA e diveneterà così la prima donna a salire al comando dell’agenzia di intelligence americana, è invece conosciuta per i metodi poco ortodossi utilizzati nella gestione di una prigione segreta in Thailandia, nella quale sarebbero stati interrogati, con procedure non autorizzate come il waterboarding, alcuni sospetti militanti di al Qaida.

Dossier Iran, Corea del Nord e Russia sono costati il posto a Tillerson

L’addio, effettivo dal 31 marzo prossimo, dell’ex top manager del colosso petrolifero rischia di mettere a repentaglio lo storico accordo sul nucleare siglato nell’estate 2015 tra l’Iran e le principali potenzie mondiali e getta nuovi dubbi sulla rotta protezionistica della Casa Bianca. Proprio la divergenza di opinioni sulla questione iraniana è uno dei motivi principali, ha spiegato Trump, dell’avvicendamento ai vertici dell’incarico più importante in Usa dopo il presidente e il vice presidente.

Nonostante fosse inizialmente uno dei fedelissimi del presidente (e con solidi legami con la Russia), da tempo i rapporti tra Trump e Tillerson erano tesi a causa di numerose frizioni sulla strategia estera degli Stati Uniti, Per esempio: Trump voleva una linea più dura sulla Corea a differenza di Tillerson, il quale era contro l’uscita dagli accordi di Parigi.

Secondo il New Yorker, Tillerson non aveva dimostrato in realtà alcuna simpatia per la Russia e proprio dopo un suo messaggio ostile nei confronti del Cremlino potrebbe essergli costato il posto. A fare degenerare le cose, secondo la ricostruzione del settimanale Usa New Yorker, potrebbe essere stata la sua ultima dichiarazione da responsabile degli Esteri: “Dall’Ucraina alla Siria – e ora il Regno Unito (il riferimento è all’avvelenamento dell’ex spia russa Sergej Skripal e di sua figlia avvenuto a Londra, ndr) – la Russia continua ad essere una forza irresponsabile di instabilità nel mondo, agendo con aperto disprezzo per la sovranità degli altri stati e la vita dei loro cittadini”.

Il fatto che Trump e Pompeo, il direttore della Cia che prenderà il posto di Tillerson, “la pensino allo stesso modo” fa temere una Casa Bianca con un atteggiamento e una linea politica ancora più ‘falco’ non solo sul piano commerciale ma anche di politica estera. Il giro di poltrone, accompagnato da altri due siluramenti (un portavoce di Tillerson e l’assistente personale di Trump), sembra suonare come un avvertimento rivolto alla Cina, vista da Pompeo come una minaccia piú  grande della Russia.

Pechino è già  stata indirettamente presa di mira con i dazi su lavatrici e pannelli solari introdotti a gennaio e da quelli su acciaio e alluminio che entreranno in vigore dal 23 marzo (per il momento solo Canada e Messico, con cui gli Usa stanno trattando per modificare il trattato di libero scambio del Nafta, sono stati esentati). Il tutto succede all’indomani della decisione di Trump di bloccare l’acquisizione di Qualcomm (-4,9%) da parte del gruppo con sede a Singapore Broadcom (-0,6%), una mossa vista come un modo per impedire a Pechino di diventare leader nell’ideazione di tecnologie per le reti 5G.