Società

Intervento Libia? Al Sisi: “per l’Italia il rischio è di una seconda Somalia”

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

IL CAIRO (WSI) – L’intervento in Libia? La storia parla chiaro. “Bisogna tenere a mente due lezioni: quella dell’Afghanistan e della Somalia. Lì ci sono stati interventi stranieri più di trent’anni fa e quali progressi sono stati raggiunti da allora? La storia parla chiaro”. A parlare è il presidente egiziano Abdel al-Fattah Al Sisi in una lunga intervista al quotidiano Repubblica in cui dà il suo punto di vista sulla situazione della nazione nord-africana.

E sull’intervento in Libia  del nostro paese, il presidente ha una sola domanda, chiara e univoca: “qual è la exit strategy?”.

“Mi sembra opportuno porre cinque domande. Uno: come entriamo in Libia e come ne usciamo? Due: chi avrà la responsabilità di rifondare le forze armate e gli apparati di polizia? Tre: nel corso della missione, come si farà a gestire la sicurezza e proteggere la popolazione? Quattro: un intervento sarà in grado di provvedere ai bisogni e alle necessità di tutte le comunità e i popoli della Libia? Cinque: chi si occuperà della ricostruzione materiale? Perché un intervento esterno abbia successo è necessario che riesca a farsi carico di tutti gli aspetti della vita del paese. Non vorrei apparire esagerato nel sottolineare queste domande, ma si tratta dei problemi con cui dovremmo misurarci nell’eventualità di una operazione sul campo. E in ogni caso è molto importante che ogni iniziativa italiana, europea o internazionale avvenga su richiesta libica e sotto il mandato delle Nazioni Unite e della Lega Araba”.

Per Al Sisi il problema di un intervento militare è il post-intervento, la gestione del paese perché il rischio maggiore che si corre se non si ha una strategia globale è che i problemi si trasformino in “minacce alla sicurezza pure in Europa”, un problema che non deriva solo dalla Libia.

“Guardate cosa sta succedendo con le persone in fuga dalla Siria: cosa accadrebbe ad esempio se l’Europa dovesse misurarsi con un’ondata di profughi due o tre volte più grande di quella attuale? Per questo dico che non ci si può occupare solamente del problema militare della Libia (…) Gli europei guardano alla Libia come se l’Isis fosse l’unica minaccia: no, non è la sola incarnazione del pericolo, è un errore grave concentrare l’attenzione solo su questa formazione. Dobbiamo capire che la minaccia è nell’ideologia estremista che chiede ai propri seguaci di uccidere chi è fuori dal gruppo e bisogna essere consapevoli del fatto che abbiamo davanti sigle differenti con la stessa ideologia: cosa dire delle reti qaediste come Ansar al Islam, come gli Shabab somali fino a Boko Haram in Africa?”.

Al Sisi suggerisce comunque un’alternativa all’intervento militare, che l’Egitto segue da quasi due anni, appoggiando l’Esercito nazionale libico del generale Haftar, l’armata legata al parlamento di Tobruk.

“Ci sono risultati positivi che si possono raggiungere sostenendo l’Esercito nazionale libico. E questi risultati si possono ottenere prima che noi ci assumiamo la responsabilità di un intervento (…) Se forniamo armi e supporto all’Esercito nazionale libico, può fare il lavoro molto meglio di chiunque altro, meglio di ogni intervento esterno che rischia invece di portarci in una situazione che può sfuggire di mano e provocare sviluppi incontrollabili”.