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Tra Usa, Corea e Pakistan salgono chance guerra nucleare

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Gli sforzi di Barack Obama durante il suo primo mandato presidenziale nella lotta multilaterale contro la proliferazione nucleare non sono bastati ad allontanare definitivamente le due minacce principali: che un gruppo terrorista entri in possesso di un’arma atomica oppure che una potenza in guerra si trovi costretta a fare ricorso al suo arsenale nucleare. E che sia disposta a farne uso anche contro i civili. Perché i tentativi dell’ex presidente Usa non risultino vani rimangono diverse questioni geopolitiche da risolvere.

Secondo gli esperti in materia di proliferazione nucleare interpellati da FiveThirtyEight, testata editoriale del guru dei sondaggi e delle statistiche Nate Silver, ci sarebbero ancora in media circa il 7% di possibilità di guerra nucleare (le possibilità spaziano dall’1% al 25%). Così hanno risposto in media alla domanda “quali sono le probabilità che nei prossimi dieci anni una bomba nucleare venga utilizzata contro i civili”?

Le minacce non vengono solo dalla Corea del Nord, bensì anche da Pakistan e India. Anzi, è proprio il conflitto tra i due paesi confinanti a preoccupare maggiormente. Ciononostante alla conferenza convocata da Obama a Washington e alla quale Wall Street Italia era presente, i due paesi non hanno preso alcun impegno significativo sulla questione e nessun giornalista ha osato fare una domanda sul conflitto. Era “l’elefante nella stanza” come si dice in inglese. L’argomento di cui nessuno vuole parlare, ma la cui presenza è evidente agli occhi di tutti.

Entrambi gli stati asiatici hanno sviluppato e potenziato l’armamentario nucleare fuori dalla giurisdizione del Trattato di Non Proliferazione. Entrambi hanno capacità limitate, il che potrebbe incentivarne un utilizzo ed entrambi gli stati hanno un atteggiamento ambiguo. Sia India sia Pakistan hanno studiato piani di emergenza che vedono anche l’uso di attacchi nucleari contro obiettivi militari. Bisogna poi contare che uno dei due, il Pakistan è culla di simpatizzanti estremisti jihadisti. Il governo accusa il vicino Afghanista di lasciare entrare elementi “terroristi” nel suo territorio.

Quanto alla Corea del Nord, i cui test missilistici hanno riportato l’attenzione sul programma nucleare del regime internazionalmente pressoché isolato, il discorso è più legato all’incapacità di decifrare le vere intenzione di Kim Jong-un. Alcuni politologi, spiega Milo Beckman su FiveThirtyEight, sostengono che la sua sia una strategia: se sei ammenattato al tuo nemico sulla cima di un monte, ballare sul bordo del precipizio e mettendo in pericolo la vita dell’avversario è un modo intelligente di ottenere concessioni.

Non è detto, però, che Pyongyang stia semplicemente bluffando. Le sanzioni internazionali contro il regime nordcoreano non hanno impedito al paese di andare avanti con i suoi piani nucleari, che mettono paura alla vicina Corea del Sud ma anche a Giappone e Stati Uniti. La guerra coreana non si è mai veramente conclusa e la Corea del Nord tecnicamente rischia ancora di trovarsi contro una Corea del Sud che può godere del sostegno degli Usa. Le armi nucleari rimangono una parte centrale e uno dei pochi punti di forza della strategia di Difesa nazionale di un paese, come la Corea del Nord, che vanta un esercito più attrezzato di quello che la (poca) ricchezza della nazione indicherebbe.

“Il processo di disarmo nucleare si è fermato”

Non tutte le 187 potenze mondiali che hanno rinnovato il trattato di non proliferzione nucleare a Washington hanno rispettao l’impegno preso. Il documento finale firmato consensualmente nel 2010, con l’intento di andare verso un pianeta senza minacce nucleari e voltare per sempre pagina dopo la corsa agli armamenti che ha caratterizzato gli anni della Guerra Fredda, fissava obiettivi di progressivo disarmo ben precisi che ancora devono essere completamente centrati.

“Il processo di disarmo si è fermato”, ha dichiarato a FiveThirtyEight Ramamurti Rajaraman, professore emerito di Fisica all’Università Jawaharlal Nehru. Ci sono tre fatto di rischio. La convinzione che gli Usa non rinnoveranno il nuovo trattato START, un accordo bilaterale per limitare le scorte nucleari di Russia e Stati Uniti; la revisione in corso dell’intesa del 2015 per bloccare i lavori di arricchimento di uranio dell’Iran; e infine i segnali mandati da Donald Trump alle altre potenze nucleari secondo cui l’America ha intenzione di ingrandire e modernizzare il suo arsenale.

Non si tratta di mere voci ma di azioni concrete, che vanno tutte in una direzione ed è contraria al processo di disarmo, che invece aveva fatto progressi, seppure graduali, dalla fine della Guerra Fredda.