NEW YORK (WSI) – Durante i 5 anni di inflazione, stabilità dei prezzi e poi iperinflazione nella Germania del periodo post Grande Guerra, tre fattori hanno determinato la crescita delle masse monetarie.
In primo luogo, il fatto che la Reichsbank abbia stampato moneta liberamebnte in cambio di tutto il debito governativo o aziendale che il settore privato non voleva più detenere. E che lo abbia fatto a interessi scontati.
In secondo luogo, il fatto che il governo abbia mantenuto livelli di deficit molto ampi. L’instabilità politica e l’inflazione hanno impedito che si materializzasse una tassazione adeguata per pagare agli Alleati i programmi di aiuti sociali, i sussidi e gli investimenti per le aziende e i progetti per le infrastrutture.
Il terzo elemento chiave sono state le aspettative sui prezzi al consumo. Più la gente diventava pessimista, più i tedeschi tendevano a tenere meno soldi in tasca e monetizzare il più in fretta possibile il debito circolante.
Di conseguenza l’offerta monetaria è cresciuta in maniera esponenziale. Ed è dipeso anche dalle scelte politiche e fiscali del governo. In un’analisi storica critica delle politiche accomodanti delle banche centrali l’Università di Cambridge ricorda come le politiche della Reichsbank siano state constanti e per molti versi passive fino alla stabilizzazione alla fine del 1923.
“Non c’è dubbio, insomma, che la crescita del debito abbia giocato un ruolo fondamentale nella crescita dell’offerta monetaria”, scrisse il direttorio della Reichsbank al ministero delle Finanze nel 1919. Nell’agosto del 1923, 4 anni dopo, il presidente della Reichsbank, Havenstein, era ancora della stessa idea.
Se si guarda ai dati a disposizione, il rischio è che la Bce stia per commettere lo stesso errore. Draghi non ha problemi a ampliare ancora il bilancio dell’istituto per portarlo fino ai livelli del 2012. Allora l’ammontare totale era pari a circa mille miliardi di euro in più dei livelli di adesso.
Oltre all’acquisto di covered bond e derivati ABS (prestiti cartoralizzati), la Bce inietterà direttamente denaro nel sistema bancario garantendo prestiti a 4 anni per 400 miliardi di euro alle banche, offrendo un interesse vantaggioso dello 0,15% l’anno, nell’ambito del programma TLTRO.
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Gli economisti della banca Berenberg, per esempio, prevedono che la Bce vari un piano di acquisto di ABS e covered bonds per due anni per un valore di 200-300 miliardi di euro.
Ciò dovrebbe portare, secondo il board di Francoforte sul Meno, a un incremento del tasso di inflazione, che ora è lontanissimo dalla soglia limite Ue del 2%. L’economia fragile ha convinto la maggioranza dei 24 membri del board ad agire.
Da parte sua la Bundesbank ha invece continuato a criticare la Bce, accusata di essere in procinto di provocare un’inflazione indesiderata. Jens Weidmann e i suoi hanno probabilmente studiato bene i libri di storia e hanno ben presente ciò che avvenne prima dell’ascesa di Hitler.
Secondo la banca centrale tedesca la Bce non dovrebbe intervenire per creare inflazione. Ma Draghi non pare propenso ad ascoltare un banchiere che la dovrebbe invece sapere lunga, avendo il suo paese vissuto il peggior incubo inflativo tra i paesi industrializzati.
Se si guarda alle statistiche risalenti alla Germania di poco meno di un secolo fa, si scopre che l’inflazione horror della Repubblica di Weimar ha visto prima una crescita brusca dell’inflazione, e in un secondo momento un periodo di deflazione, a cui è seguito un effetto valanga.
In un paper dell’Università di Cambridge (da cui è presa la tabella a fianco) Steven Webb ha messo insieme tutti di dati del periodo 1919-1923. Al periodo di inflazione è succeduto un arco di alcuni mesi di deflazione.
È stato allora che si è scatenato il finimondo. Il tasso di inflazione ha innescato una progressiva rimonta, accelerando fino ad un livello del 7100%, nell’ottobre 1923. Sappiamo tutti, anche noi italiani, come è andata a finire. Di lì a poco Hitler ha vinto i favori del popolo tedesco e la Germania è entrata in guerra.