Mercati

Wall Street allo sbando tra paura e opportunità: cosa sta succedendo

Dalla grande fiducia in Donald Trump per le sua promessa di deregulation e tagli alle tasse, nel giro di pochi giorni, i mercati sono piombati alla grande paura per dazi e geopolitica. Dopo un lunedì nero (DJ -2,1%, S&P 500 – 2,7%, Nasdaq Composite -4%), anche ieri la Borsa americana (influenzano negativamente gli altri listini mondiali) ha chiuso in rosso: il Dow Jones ha perso 478,23 punti, l’1,14%; lo S&P 500, dopo essere sceso per un breve periodo in correzione, cioè in calo del 10% rispetto ai massimi registrati alla metà di febbraio, ha perso 42,49 punti, lo 0,75%; il Nasdaq ha chiuso in ribasso di 32,22 punti, lo 0,18%.

Come ricorda Gabriel Debach, market analyst di eToro, in una nota, Trump, pur non accendendo la miccia, ha comunque soffiato sul fuoco: il presidente americano ha parlato di una “fase di transizione” per l’economia statunitense. Un messaggio che, pur senza pronunciare la parola recessione, ne ha normalizzato il concetto e la reazione dei mercati non si è fatta attendere.

Industria tiene, ma per quanto?

Se il sentiment degli investitori è peggiorato, il quadro aziendale per ora non sembra così drammatico. Secondo FactSet, nel primo trimestre del 2025 gli utili dell’S&P 500 sono previsti in crescita del 7,3% su base annua, segnando il settimo trimestre consecutivo di crescita. Le revisioni al ribasso sono state superiori alla media, ma la maggior parte dei settori prevede ancora un’espansione degli utili per il resto dell’anno.

Sorprendentemente – spiega Debach –  le aziende non sembrano così preoccupate come gli investitori. Solo 13 società dell’S&P 500 hanno citato la parola “recessione” nelle ultime conference call sugli utili del quarto trimestre, un dato nettamente inferiore alla media quinquennale di 80 e alla media decennale di 60. È il numero più basso dal primo trimestre del 2018.

“Il mercato, però, sembra aver fiutato un cambio di passo. Il peso delle guerre tariffarie, il rischio di una contrazione della spesa federale e il deterioramento del sentiment potrebbero spingere ulteriori prese di profitto. E con il lunedì che ormai si è guadagnato la nomea di giornata nera, gli investitori si chiedono se il peggio sia davvero passato, o se si tratti solo dell’inizio di una nuova fase ribassista” mette in evidenza Debach.

L’S&P 500 tra paura e opportunità: la storia si ripete?

Ma torniamo ai mercati, dove al di là della contrazione dei principali indici di borsa, c’è un indicatore che mostra più di tutti lo stato in cui versa il mercato, ovvero,  il Fear & Greed Index, (l’indice Vix) si è impennato a 28, a indicare la paura estrema. Il sentiment negativo è al massimo, la volatilità torna dunque protagonista e gli investitori accelerano le vendite sui settori più rischiosi. Eppure, proprio nei momenti di massimo pessimismo, si annidano le migliori opportunità, fa notare Debach:

“La stagionalità offre un barlume di speranza, così come alcune statistiche: negli ultimi 32 casi in cui l’ETF SPY ha aperto con un gap ribassista superiore all’1% ed è sceso di un ulteriore 1% intraday, il mercato ha chiuso in rialzo tre mesi dopo in 31 occasioni su 32. L’unica eccezione? Il 5 maggio 2022, con un calo marginale dello 0,59%. Una statistica che invita alla prudenza nel dichiarare la fine del bull market, ma che allo stesso tempo sottolinea il potenziale di un rimbalzo”.

JPMorgan ritiene che la correzione del Momentum Trade sia già al 90% completata, ma avverte: se questa è una rottura strutturale del regime di mercato, il drawdown potrebbe estendersi fino a un -25% rispetto agli indici. Il CEO di JPMorgan, Jamie Dimon, ha lanciato un monito sulla politica americana: “America First va bene, ma se ci ritroveremo soli perché abbiamo lacerato il mondo, avremo commesso un errore.”

Con una Fed in bilico tra il contenere l’inflazione e il rischio di soffocare la crescita, e una Casa Bianca sempre più protezionista, il mercato è a un bivio: ripresa o recessione?