Economia

Trattato TPP firmato, ma si può ancora fermare

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NEW YORK (WSI) – Dopo ritardi, trattative fiume e polemiche per la poca trasparenza, è finalmente arrivata la firma sul trattato di libero scambio commerciale nell’area ai due lati dell’Oceano Pacifico.

Dodici tra le più importanti nazioni di Asia, Oceania e Americhe hanno raggiunto l’intesa sull’accordo di liberalizzazione del commercio internazionale, uno dei maggiori al mondo insieme al famigerato TTIP, il partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti che interessa anche l’Europa e l’Italia, ma ci vorranno anni prima che il patto venga ratificato dai singoli Stati membri diventando realtà.

Tra critiche in ambito politico, modalità di discussione controversa e proteste agguerrite di cittadini e Ong, ci sono già voluti cinque anni di negoziati prima che il TPP, che come riporta Reuters interessa circa il 40% dell’economia mondiale, potesse arrivare a questo punto avanzato dei negoziati.

La firma è un “passo importante” ma “rimane ancora solo un pezzo di carta, o meglio 16.000 pezzi di carta fino a quando non entrerà in vigore”, ha dichiarato il primo ministro neozelandese John Key, il cui paese ha ospitato la cerimonia per il raggiungimento dell’accordo.

L’iter del TPP prevede ora due anni di esami per la ratifica in almeno sei paesi, che contano per circa l’85% del PIL dei 12 membri firmatari del patto commerciale. Perché il trattato sia implementato, i sei stati, tra cui Giappone, Australia e Usa, dovranno approvare con un voto parlamentare il testo finale appena firmato.

Stati Uniti, Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam hanno stretto un’intesa che stabilisce nuove regole comuni sugli standard in materia di diritto del lavoro, proprietà intellettuale e libertà di azione delle multinazionali.

Per un motivo o per l’altro, in Usa sia parti dell’ala dei Repubblicani sia di quella dei Democratici si sono opposte al trattato fortemente voluto dal presidente Barack Obama. Motivo per cui difficilmente il testo verrà approvato prima che l’inquilino della Casa Bianca lasci l’incarico nel 2017.

Il rappresentante del Commercio Usa Michael Froman ha detto che l’amministrazione a Washington sta facendo il possibile per accelerare i tempi e secondo lui c’è da essere ottimisti sull’approvazione del trattato da parte del Congresso.

In Giappone intanto le cose si complicano dopo le dimissioni per uno scandalo del ministro dell’Economia Akira Amari, l’uomo che si è occupato in prima persona delle negoziazioni del TPP sin qui.

Tribunali privati a uso delle multinazionali

I critici sostengono che le trattative non siano state abbastanza trasparenti e che l’opinione pubblica non sia stata interpellata nonostante la grande importanza del patto. Alcune associazioni, come quelle a tutela dei consumatori, temono che il trattato finisca per favorire le multinazionali a discapito dei cittadini.

C’è chi teme che sarà più dura trovare per esempio farmaci a basso costo. Ma il punto nevralgico, così come per l’omologo trattato transatlantico TTIP, riguarda la clausola che permette agli investitori e le imprese stranieri di fare causa allo Stato se ritengono che i profitti aziendali siano strozzati da una data legge o una data politica particolare in vigore nel paese che li ospita. Si tratta insomma di tribunali privati a uso e servizio delle grandi aziende internazionali.

In Nuova Zelanda, dove è stata posta la storica firma, più di un migliaio di manifestanti ha bloccato il traffico nella città di Auckland e nei suoi dintorni. La polizia ha fatto sapere di aver dispiegato un elevato numero di agenti per sedare le proteste.

Mentre anche il Cile si prepara a mesi di trattative tese sul voto di ratifica, il ministro australiano del Commercio Andrew Robb ha detto che l’accordo sarà discusso in parlamento già dalla prossima settimana. L’opposizione sta crescendo di numero negli scranni parlamentari, tuttavia, e la fiducia di Robb, favorevole al patto di liberalizzazione commerciale, non tiene conto del fatto che il governo non ha il controllo e la maggioranza in Senato.

Sebbene il nuovo governo canadese di centro sinistra appena salito al potere abbia firmato il trattato, il ministro del Commercio Chrystia Freeland ha affermato che “una firma non equivale a una ratifica“. In campagna elettorale l’esecutivo si è impegnato a chiamare in causa tutte le parti coinvolte della sfera politica e pubblica, perciò le discussioni saranno intrattenute con il più ampio raggio possibile di partecipanti e opinioni divergenti.

Malaysia e Messico non dovrebbero invece rappresentare particolari problemi per i fautori del partneriato che ritengono che le esportazioni delle economie dei paesi firmatari, e non solo le multinazionali, ne trarranno giovamento.

In Messico il segretario dell’Economia, Illdefonso Guajardo, è sicuro che il patto passerà lo scoglio parlamentare prima della fine del 2016. In Malaysia, il sesto e ultimo dei paesi chiamati alla ratifica, l’accordo è stato già approvato, anche se sono necessarie alcune modifiche legislative.