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Trattativa Stato-mafia: i boss Riina e Bagarella in video conferenza alla deposizione di Napolitano

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ROMA (WSI) – La Procura di Palermo, in una memoria depositata alla Corte d’Assise, ha dato parere favorevole alla partecipazione dei boss Totò Riina e Leoluca Bagarella e dell’ex ministro Nicola Mancino alla deposizione, al Quirinale, del Capo dello Stato al processo sulla trattativa Stato-Mafia.

I capimafia, qualora la Corte accogliesse la loro istanza di assistere alla deposizione, parteciperebbero in videoconferenza dal carcere, mentre Mancino potrebbe assistere dal Quirinale.

Secondo i pm, infatti, la possibilità di partecipare all’udienza, seppure con le forme della videoconferenza, sarebbe prevista dalla norma richiamata dalla Corte d’Assise per lo svolgimento dell’udienza al Quirinale, cioè l’articolo che disciplina l’audizione del teste sentito a domicilio. Inoltre – per la Procura – alla luce dei principi generali che consentono all’imputato di partecipare al processo, un’eventuale esclusione, a fronte di una precisa istanza, potrebbe determinare una nullità processuale. Da qui il parere favorevole della Procura.

Il parere favorevole dei pm è arrivato dopo una serie di riunioni in Procura nel giorno in cui l’ex presidente del Senato chiede di poter essere presente al Quirinale.

[ARTICLEIMAGE] In Procura si ritiene infatti serio il rischio che un no alla richiesta dei capimafia Totò Riina e Leoluca Bagarella e, oggi, dell’ex ministro dc Nicola Mancino, di assistere alla deposizione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al processo sulla trattativa Stato-mafia, possa far saltare il dibattimento. Sull’interpretazione delle norme si è infatti aperto un dibattito. Ed è per questo che i magistrati che rappresentano l’accusa, Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi, hanno dato parere favorevole alla presenza dei tre imputati. Precisando chiaramente che i due padrini potrebbero, qualora la corte accogliesse le loro istanze, essere presenti solo in videoconferenza, mentre a Mancino sarebbe consentito andare al Quirinale. Decisione che non è piaciuta al Pd che è sceso in campo compatto contro la Procura definendo la richiesta «incomprensibile».

Al momento sono solo tre gli imputati che hanno fatto sapere di voler partecipare all’udienza, fissata per il 28 ottobre al Colle. Tacciono gli altri, che ancora non si sono pronunciati sull’intenzione di ammettere solo pm e difensori, resa nota alle scorse udienze dal collegio. La questione, dunque, diventa sempre più spinosa. Perchè se è vero che la corte ha richiamato, in assenza di una norma specifica, l’articolo del codice di procedura penale che disciplina il caso del testimone impedito ad andare in udienza, norma che esclude la presenza degli imputati, è anche vero che la legge obbliga il giudice ad ammettere l’imputato che chieda di partecipare.

L’eventuale esclusione potrebbe determinare la nullità dell’assunzione della prova – in questo caso la deposizione del capo dello Stato – o, secondo, una parte della giurisprudenza, dell’intero processo. Ed è proprio questa l’argomentazione seguita dalla Procura che, richiamandosi al codice e ai principi generali sulla partecipazione degli imputati, e temendo di minare il dibattimento fornendo lo spunto per un’eccezione di nullità in appello, ha dato un sofferto parere favorevole alle richieste dei due boss e di Mancino. Molto probabilmente il collegio, per bocca del suo presidente, Alfredo Montalto, si pronuncerà sulla questione all’udienza di giovedì prossimo. Ma è chiaro che sulla decisione dei giudici, oltre alle considerazioni normative, peseranno anche ragioni di opportunità: è intuibile l’imbarazzo che creerebbe la presenza al Quirinale, seppure attraverso il collegamento in videoconferenza dal carcere, dei boss Totò Riina e Leoluca Bagarella, entrambi, peraltro, con diritto di intervenire in ogni momento per rendere dichiarazioni spontanee.

Perplessità al Quirinale sulla vicenda: dubbi che vanno al di là della persona di Giorgio Napolitano – che infatti testimonierà – ma che investono le garanzie e le prerogative del capo dello Stato, nonchè l’immagine dell’istituzione, come d’altronde si evince dalla clamorosa possibilità che due boss stragisti possano in qualche modo interagire con la massima carica dello Stato. Ma su cosa dovrà deporre il capo dello Stato? Al centro della testimonianza, richiesta dalla Procura e circoscritta dai rigidi paletti fissati dai giudici, ci sono i timori espressi a Napolitano dal suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, poi morto, su episodi accaduti tra il 1989 e il 1993 riconducibili, secondo i magistrati, proprio alla trattativa Stato-mafia.

Il Capo dello Stato lo scorso novembre aveva inviato una lettera al Presidente della Corte nella quale diceva di non aver avuto «ragguagli» o «specificazioni» da D’Ambrosio su quei timori e, pertanto, di non avere «da riferire alcuna conoscenza utile al processo». Una valutazione che il collegio non ha ritenuto di per sè sufficiente a evitare la deposizione. Non si può escludere il diritto delle parti di chiamare un testimone su fatti rilevanti per il processo solo perchè questi ha escluso di essere informato sui fatti stessi, è stata in sostanza l’argomentazione seguita dalla corte. Da qui la decisione di andare avanti con la citazione. Alla deposizione del Capo dello Stato vorrebbero partecipare anche i giornalisti.

E così l’Ordine di Sicilia ha chiesto alla corte che «i cronisti vengano messi in condizione di seguire la testimonianza, senza filtri e versioni riferite dai presenti, che – anche involontariamente – potrebbero risultare parziali e condizionanti, specie in un’occasione così importante». Critico con la decisione della Procura è il partito democratico, con il presidente dei senatori, Luigi Zanda, che (al pari di Anna Finocchiaro) dice di «non comprenderne il significato, nè processuale nè istituzionale», mentre i deputati Federico Gelli ed Ernesto Magorno parlano di «una grave caduta di stile». Ancora più netto il giudizio del presidente del gruppo Pd della camera, Roberto Speranza: «Vedo accostare il nome del Presidente della Repubblica a quello di due capi mafia. È inaccettabile. Ho sempre rispettato la magistratura, ma sinceramente penso si sia superato il segno».

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“Dopo l’omicidio Lima, che segna il cambio di strategia di Cosa nostra, Mannino e’ persona offesa. E’ lui il prossimo della lista. Ma non puo’ denunciare. Perche’ se lo fa corre il rischio di essere assimilato a Lima, dando credito alle tesi gia’ esposte anche in seguito all’allarme lanciato dai servizi: Mannino ucciso, come Lima, perche’ non ha mantenuto i patti. E questo e’ un rischio politico che Mannino, in ascesa e di fatto divenuto l’unico riferimento politico di Andreotti in Sicilia, non puo’ permettersi. E’ qui, in questo momento, che Mannino avvia il canale occulto di intermediazione e si da’ impulso e avvio alla trattativa”.

E’ la tesi esposta dal sostituto procuratore Roberto Tartaglia dinanzi al gup Marina Petruzzella, nella requisitoria iniziata oggi contro l’ex ministro Dc Calogero Mannino, nello stralcio col rito abbreviato del processo per la trattativa Stato-mafia. Presenti in aula anche gli altri pm, l’aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Nino Di Matteo e Francesco Del Bene. Mannino, imputato di attentato mediante violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato, secondo l’accusa ebbe un ruolo in una parte di storia dei rapporti tra la mafia e lo Stato negli anni ’80 e ’90.

“Un periodo – ha affermato Tartaglia – in cui una parte importante delle istituzioni, non solo politiche spinta da esigenze egoistiche contrabbandate per ragioni di Stato che hanno portato a cercare il dialogo e il compromesso con la mafia. In questo contesto – per il Pm – il ruolo di Mannino e’ quello di intermediario, assieme ad altri soggetti, che hanno dato l’imput a queste interlocuzioni”. Cio’ avviene tra ottobre 1991 e marzo 1992. In quella fase, Cosa nostra contava sull’annullamento della sentenza del maxi processo da parte della Cassazione. Una garanzia che sarebbe arrivata dai politici.

Il Pm ha ricordato in proposito le dichiarazioni rese del pentito Leonardo Messina nel 1997, secondo cui “in Cosa nostra si diceva che tutto sarebbe finito in una gran fesseria in Cassazione. Perche’ avevamo la certezza che il procedimento sarebbe andato alla prima sezione, quella di Corrado Carnevale, che era uomo di Andreotti”. (AGI)

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da il Fatto Quotidiano 8.10.14

Boss al Quirinale, sì dei Pm. E Mancino”Vengo anch’io”

Napolitano potrebbe rinunciare. Pd e Ncd preparano il terreno
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

E ora arriva anche la richiesta di Nicola Mancino a imbarazzare ulteriormente il presidente Giorgio Napolitano, che con lui ha chiacchierato nelle quattro telefonate poi distrutte in seguito alla sentenza della Consulta. E se da un lato il parere positivo della Procura di Palermo sulla richiesta dei tre imputati (Mancino, Riina e Bagarella) per partecipare all’udienza del Quirinale era ampiamente prevedibile, dall’altro le parole dell’avvocato Luca Cianferoni, difensore del capo dei capi, riscaldano ulteriormente il clima attorno alla deposizione dell’inquilino del Colle prevista per il 28 ottobre: “È un diritto dell’imputato – dice Cianferoni – andare al processo”.

DOPO I BOSS Salvatore Riina e Leoluca Bagarella, insomma, anche l’ex presidente del Senato Mancino vuole presenziare a quello che si annuncia come il giorno più lungo di Napolitano. L’unica differenza tra i boss e Mancino (che ieri ha depositato una memoria in cancelleria) sarebbe determinata dal fatto che Riina e Bagarella apparirebbero soltanto in videocollegamento, mentre Mancino sarebbe presente fisicamente all’udienza allestita nei saloni quirinalizi. Domani il presidente della Corte in aula renderà nota la sua decisione che per ora appare imprigionata in una strettoia logica senza vie d’uscita. Se accoglierà la richiesta di Riina e Bagarella, Montalto si esporrà infatti alle ire di Napolitano che potrebbe persino (come scrivono alcuni quotidiani) ritirare la sua disponibilità a testimoniare. Se deciderà invece di accontentare il capo dello Stato, escludendo la partecipazione di tutti gli imputati, compreso Mancino, esporrà il processo al pericolo di un annullamento.

È un rischio che non preoccupa Anna Finocchiaro, ex magistrato, presidente Pd del la commissione Affari costituzionali del Senato: “Stupisce e non mi spiego, sia ai fini processuali sia per motivi istituzionali, il parere favorevole che la stessa Procura ha dato alla partecipazione di boss mafiosi”. Sulla stessa posizione Gaetano Quagliariello, coordinatore nazionale Ncd: “Auspichiamo che all’Italia e alle sue istituzioni sia risparmiato lo sfregio di due capi dell’antiStato presenti seppur virtualmente alla deposizione del capo dello Stato”. Sono dichiarazioni che sembrano preparano il terreno a un eventuale rifiuto del capo dello Stato.

NUOVA BENZINA sul fuoco arriva dalla memoria depositata ieri dall’avvocato Cianferoni che, a differenza del collega Giovanni Anania, difensore di Bagarella, ha deciso di motivare con una nota la richiesta del suo assistito di essere presente al Quirinale. Facendo cenno al processo per l’attentato dei Georgofili del ’93 a Firenze, Cianferoni nella sua memoria ricorda di aver chiesto già nel ’96 di sentire l’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, Bettino Craxi (che era già fuggito dall’Italia) e Napolitano, che era ministro dell’Interno, per approfondire il tema della gestione del pentito Balduccio Di Maggio. In quell’occasione, le richieste di testimonianza furono respinte. “E quando feci il nome di Napolitano – rievoca il legale – arrivò la polizia giudiziaria a prendere le mie generalità”.

Oggi, dice Cianferoni, “è giusto sentire Napolitano per interrogarlo su D’Ambrosio che nella sua lettera gli si rivolge con quel tono:può darsi che l’accusa o le difese ci ricavino qualcosa, ma l’udienza deve essere pubblica, perché il popolo deve sapere ed è un diritto dell’imputato andare al suo processo”. Nella memoria, infine, Cianferoni fa cenno a precedenti giurisprudenziali, “contenuti – dice – persino nel commentario Lattanzi Lupo: quest’ultimo Ernesto Lupo, è attualmente consigliere giuridico di Napolitano”.

Ieri sera si sono aperte le trattative anche per la presenza dei giornalisti al Quirinale: l’Ordine di Sicilia ha chiesto alla Corte di accreditare i cronisti giudiziari, per consentire loro di seguire la testimonianza, “senza filtri e versioni riferite dai presenti, che – anche involontariamente – potrebbero risultare parziali e condizionanti”. A Roma, intanto, il presidente dell’Unci Guido Columba ha avviato contatti discreti con l’ufficio stampa del Quirinale. Si attendono risposte.