Economia

Tetto al debito, cos’è e perchè gli Usa rischiano il default il primo giugno?

La segretaria al Tesoro statunitense, Janet Yellen, ha avvertito che gli Usa potrebbero rischiare il default il primo giugno nel caso in cui non fosse alzato il tetto del debito. “Stimiamo ancora che il Tesoro probabilmente non sarà più in grado di soddisfare tutti gli obblighi del governo se il Congresso non agirà per alzare o sospendere il limite del debito entro l’inizio di giugno, e potenzialmente già entro il 1 giugno”, scrive Yellen, facendo seguito alla lettera già inviata al Congresso lo scorso primo maggio. Approfondiamo la questione.

Cos’è il tetto al debito

Con questo termine si indica il limite posto dal Congresso degli Stati Uniti all’ammontare di prestiti che il governo americano può accumulare.

È stato introdotto nel 1917, con il Second Liberty Bond Act. In precedenza, il Congresso doveva approvare ogni singola emissione di debito, ma le esigenze dettate dalla Prima Guerra Mondiale hanno portato ad una revisione della legislazione per consentire al presidente dell’epoca, Woodrow Wilson, di chiedere nuovi prestiti in maniera più agevole. Tuttavia, si è deciso di porre un limite massimo di indebitamento, che può essere modificato soltanto attraverso una nuova legge del Congresso.

Da allora il tetto del debito è stato aumentato o sospeso innumerevoli volte, quasi 80 dal 1960 ad oggi, raggiungendo il limite attuale di 31,4 trilioni di dollari (circa il 120% del Pil americano).

Perché il tetto del debito è importante

L’importanza di questo limite è dettata dal fatto che influisce sulla capacità del governo di far fronte alle fatture correnti e alle spese già autorizzate. L’impossibilità di adempiere a questi pagamenti rappresenterebbe un evento di default, il primo nella storia degli Stati Uniti.

Per scongiurare il raggiungimento del tetto, il Tesoro si vedrebbe costretto nei giorni a ridosso della cosiddetta data X – tuttora incerta, ma stimata ai primi di giugno – ad implementare misure straordinarie per gestire la liquidità e preservare risorse. In passato queste misure si sono concretizzate nell’interruzione dei contributi dei datori di lavoro ai fondi pensione statali e il riscatto dei titoli del Tesoro detenuti in una serie di conti di risparmio per la pensione dei dipendenti federali.

Cosa succede se non si trova un accordo

Janet Yellen è stata chiara: un accordo sul tetto del debito è fondamentale, altrimenti si rischia “un danno irreparabile” all’economia statunitense, alla vita di tutti gli americani e alla stabilità finanziaria globale.

“Un default minaccerebbe i progressi per cui abbiamo lavorato così duramente negli ultimi anni nella nostra ripresa dalla pandemia e scatenerebbe una recessione globale che ci riporterebbe molto indietro“, ha dichiarato il Segretario nel corso di una riunione dei ministri delle finanze e dei banchieri centrali del G7.

Inoltre, il default “rischierebbe anche di minare la leadership economica globale degli Stati Uniti e solleverebbe interrogativi sulla nostra capacità di difendere gli interessi di sicurezza nazionale”, ha aggiunto la Yellen.

Le stime della Casa Bianca

In un rapporto pubblicato la scorsa settimana, gli economisti della Casa Bianca hanno affermato che un default prolungato potrebbe spazzare via oltre 8 milioni di posti di lavoro e dimezzare il valore del mercato azionario.

Il report considera tre scenari: rischio calcolato, insolvenza breve e inadempienza prolungata (quest’ultimo nel caso l’impasse duri almeno tre mesi). Lo scenario più lieve, in cui il default viene scongiurato, implicherebbe comunque la cancellazione di 200.000 posti di lavoro e una riduzione del Pil annuo pari a 0,3 punti percentuali, secondo le stime di Washington.

Un eventuale default degli Stati Uniti potrebbe inoltre influenzare il valore del dollaro e danneggiare la domanda di importazioni da altri Paesi.

Il precedente del 2011 sotto la presidenza Obama

La situazione di questi giorni è in qualche modo paragonabile a quella del 2011, quando il presidente democratico Barack Obama dovette ingaggiare una lunga battaglia politica con il Congresso a maggioranza repubblicana.

In quell’occasione, l’accordo fu trovato a soli due giorni dalla fatidica “data X” in cui gli Usa avrebbero esaurito la capacità di onorare gli impegni.

Nel frattempo, gli uffici dell’amministrazione federale chiusero i momentaneamente, per via dell’impossibilità del governo di pagare stipendi e servizi, S&P declassò il debito statunitense da tripla A ad AA+ e il mercato azionario subì una brusca correzione.

La crisi si risolse tramite un accordo che comportò un drastico taglio della spesa pubblica e la cancellazione di nuove tasse per i più abbienti.

Il tetto al debito è una questione politica

Di fatto, dunque, si tratta di uno scontro prettamente politico che rischia di provocare ripercussioni economico-finanziarie, soprattutto in prossimità della “data X”, quando la volatilità si incrementa inevitabilmente. I repubblicani chiedono anche in questo caso forti tagli della spesa pubblica, mentre i democratici accusano il GOP di irresponsabilità e non sembrano intenzionati a cedere.

La sensazione è che verrà concessa una proroga per agevolare le negoziazioni, ma prima il Dipartimento del Tesoro potrebbe trovarsi costretto a ricorrere a misure straordinarie per evitare il default e guadagnare tempo fino ai primi di giugno.

In ogni caso, la battaglia politica rischia di minare la credibilità di Washington e di avere qualche ripercussione significativa, in un contesto già caratterizzato dall’incertezza legata all’elevata inflazione e ai tassi elevati.