Società

TELECOM, MANIPOLATORI
DI STATO

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(WSI) –
Fantastico, la Telecom-ica continua. Ieri, si sono toccate con mano altre tre cose che non possono inorgoglire il nostro Paese. Mentre invece, sul terreno della partita seria, quella s’intende del soggetto italiano candidato ad avere le spalle più ampie per accompagnare Marco Tronchetti Provera e la sua Pirelli fuori dal controllo di Telecom ma senza per questo cedere il campo solo a ingombranti soggetti stranieri, diciamo che ormai c’è un giocatore che appare in forte vantaggio. Ed è la San-Intesa del professor Giovanni Bazoli.

Ma partiamo dai tre aspetti meno rincuoranti. Riguardano tutti e tre l’assoluta opacità che resta prerogativa delle vicende finanziarie più delicate del nostro Paese. Sono tre scacchi subiti ieri dalla Consob, in un caso perché in effetti c’è ormai un problema di norme da rivedere, ma nel secondo e nel terzo forse anche per responsabilità propria. Andiamo per ordine.

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Ieri sera scadeva il termine entro il quale alla Consob spettava comunicare al mercato le ultime eventuali variazioni delle quote “sensibili” detenute dai diversi oggetti finanziari nel capitale di Telecom, poiché è sulla base della fotografia azionaria scattata alla chiusura dei mercati di ieri che si effettueranno i conteggi in base ai quali i diversi soggetti possono concorrere o meno alle decisioni da assumere in vista dell’assemblea prevista per il prossimo 16 aprile.

In giorni in cui si sono registrati scambi pari in teoria a un quarto dell’intero capitale della società, è ovvio che il primario interesse era di constatare se fosse qualcuno dei protagonisti finanziari della vicenda, ad aver arrotondato le proprie quote. Ma, naturalmente, ufficialmente non è avvenuto. Tutti fermi al palo, dicono le cifre ufficiali. Sono rimaste invariate le quote detenute da Generali, Olimpia e Hopa in Telecom. Mediobanca è ferma all’1,54% del giugno dell’anno scorso, le assicurazioni Generali detengono il 4,060%, lo stesso dell’ultimo aggiornamento dello scorso 15 febbraio, Olimpia il 17,991 dal 18,007 dichiarato il 30 giugno 2005 mentre Hopa resta ferma al 3,7215, come il 12 luglio 2006. Chi ci crede?

Con tutto il rispetto, e senza levare un grammo di credibilità al management di ciascuno di questi istituti: è una presa per i fondelli, e se usiamo termini un po’ forti è perché ci teniamo a che anche i nostri lettori meno esperti di cose finanziarie lo sappiano.

Ciascuna gioca la parte dell’inappuntabile gentleman britannico, ma ciò avviene solo in grazia del fatto che ad essere considerate “sensibili” – cioè da dichiarare alla Consob – sono solo le quote superiori al 2% del capitale. Basta mobilitare un po’ di fondi amici che acquistano sul mercato quote anche solo leggermente inferiori, ed ecco che il gioco falsa, e che il povero risparmiatore fuori dai grandi giochi potrebbe trovarsi esposto a brutte sorprese, con minoranza di blocco improvvisamente pronte a manifestarsi in assemblea.

Tutti quelli che per mestiere seguono la vicenda sanno per esempio che il 17,9% “ufficiale” di Olimpia è ben superiore al 20-21% – c’è chi ha scritto addirittura che arriva al 25% – grazie a questo metodo consentito dai buchi della legge italiana: che, su questo, andrebbe modificata. Finché resta così, è logico che Tronchetti avesse pronta intorno a sé una cintura non dichiarata, di fondi mobilitati magari dalla JP Morgan che assiste gli aspiranti compratori di AT&T e America Mòvil, pronti a manifestarsi nel caso in cui all’assemblea Telecom Mediobanca avesse fatto lo stesso giochetto al contrario, per evidenziare che il 17,9% “ufficiale” in realtà non esercita più il controllo di Telecom.

È un’ipotesi ancora teoricamente valida – anche se resa improbabile da come sono andate le trattative sul campo – malgrado le cifre ufficiali diramate ieri sera dalla Conosb, ed è la dimostrazione che sui mercati italiani il gioco preferito è il tressette col morto, dove il morto finisce per essere il povero investitore non iniziato. La Consob può poco, la parola dovrebbe spettare al Parlamento.

Che figura, la Consob

Seconda e terza vergogna, sulla quali invece – a modesto avviso di chi qui scrive – la Consob invece non ci fa un’ottima figura. Stiamo parlando dei comunicati ufficiali resi ieri al mercato da parte delle maggiori banche italiane, comunicati che la Consob doverosamente aveva finalmente richiesto. Comunicati che erano tali da dover essere respinti duramente al mittente. E stiamo parlando infine anche di chi in tutta questa vicenda, secondo noi, ha vinto il premio di chi perturba più vergognosamente il mercato: alcuni ministri del governo Prodi, in testa a tutti Antonio Di Pietro.

Alcuni dei soggetti invitati dalla Consob a chiarire che cosa stavano davvero facendo, perché si potesse capir meglio da parte del risparmiatore l’andamento del titolo Telecom in questi giorni, hanno risposto a dovere.

Capitalia, per esempio, ha chiarito di non esser parte di cordate e di non aver contatti in corso con alcuno. Dunque, Cesare Geronzi ha fatto prudentemente un passo indietro, parla con il professor Giovanni Bazoli e non è in prima fila accanto al controtentativo di Mediobanca. Idem dicasi per Generali, che ha chiarito di non essere interessata ad esercitare alla prelazione del 33% di Olimpia, prelazione che Tronchetti Provera e i due acquirenti texmex avevano lasciato aperta al Leone Alato e a Piazzetta Cuccia per evitare l’impressione di volere lo scontro all’arma bianca. Mps, ha dichiarato di guardare con interesse e attenzione al tentativo di Intesa.

Ma che dire invece del comunicato emesso da Mediobanca? “Con riferimento alla possibile cessione di una quota di maggioranza del capitale di Olimpia, Mediobanca comunica che ha in corso contatti preliminari e generici con taluni potenziali investitori ma che, allo stato, nessuna indicazione può essere espressa in ordine al loro possibile esito”. “Possibile”, “generici”, “taluni”, “potenziali”, “nessuna indicazione”: sfidiamo chiunque a dire che è una comunicazione al mercato.

Nebbia era, e nebbia resta. Idem dicasi con patate per il comunicato reso da Intesa. Di fronte a dichiarazioni simili, la Consob avrebbe potuto – anzi dovuto, a nostro sommesso avviso – intervenire rispedendoli al mittente. Anche senza sanzioni, quanto meno con una secca nota di scherno: perché se non si è pronti a fare anche così, la moral suasion resta una nozione del tutto teorica.

Manipolatori di Stato

E quanto poi al premio Titanic del più scorretto manipolatore del titolo Telecom, non c’è dubbio: spetta al governo. Rutelli e Gentiloni almeno hanno capito l’antifona, hanno chiarito che nessuno pensa a sottrarre la rete fissa a Telecom, e al massimo si tratta di potenziare l’Agcom con un emendamento alla legge Gentiloni. Di Pietro, invece, ogni due per tre ha ripetuto che occorre un decreto legge. E ieri il titolo ne ha subito le conseguenze: per conto di quale banca compratrice, bisogna pensare di interpretare le dichiarazioni di Di Pietro che ci ha sempre insegnato che a sospettare non si sbaglia mai?

Le indiscrezioni a margine delle trattative direbbero che si tratta di San-Intesa. È lei in vantaggio, nella gara a stringere un accordo con gli amero-messicani per aggiungere o partner italiani alla cordata. E chissà, se Mediobanca non si tirerà indietro, dall’eventuale malaparata di Galateri e Nagel Cesare Geronzi non è detto che non si avvantaggerebbe. Per essere fedeli fino in fondo, al nostro copione di spaccacapelli, aggiungiamo un ultimo caveat al lettore poco esperto. Alessandro Profumo e la sua Unicredit hanno ostentato un apprezzabile distacco, da tutta questa guerra italiana tra amici di un tempo e nemici nuovi di Tronchetti.

Certo però, aver tifato dietro le quinte per la soluzione Deutsche Telekom – la più scassata tra le telcos pubbliche europee, e che Dio ci guardi dall’aver privatizzato in Italia per ripubblicizzare alla tedesca – fa pensar male, che Unicredit sia ormai una banca più tedesca che italiana o europea. Sicuramente sbagliamo, ma caro lettore il nostro dubbio te lo vogliamo segnalare comunque.

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