Economia

Smart Working pubblica amministrazione: tra un mese arriva il contratto, cosa prevede

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Lo smart working, sperimentato su larga scala durante la pandemia di COVID 19, si avvia ad essere definitivamente sdoganato con un contratto ad hoc sia nella pubblica amministrazione sia nel settore privato.

L’annuncio ufficiale, per quanto riguarda la PA, è arrivato ieri ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, che, pochi mesi dalla fine dello stato di emergenza, fissata il prossimo 31 dicembre, ha spiegato:

“Tra un mese per la prima volta ci sarà un vero contratto per il lavoro agile, ci vorrà un pacchetto organizzativo parallelo al lavoro in presenza sul lavoro da remoto”.

A lui e al suo dicastero trovare un modo per regolare il lavoro da remoto per 3,2 milioni di dipendenti pubblici.

Ad oggi, l’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni), intanto, ha già stilato una prima bozza di contratto nelle funzioni centrali, quindi in ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici, che i sindacati dovranno valutare in questi giorni.

Smart Working nella pubblica amministrazione: criteri e limiti

Disco verde dunque allo smart working nella pubblica amministrazione. Anche se l’accesso al lavoro da remoto non sarà per tutti e dovrà rispettare una serie di requisiti.

Stando alle prime indicazioni, la regolamentazione del lavoro da remoto per gli uffici pubblici prende che, da inizio 2022 ogni ufficio pubblico dovrà dotarsi di un piano organizzativo che prevede un massimo del 15% di attività svolgibili da remoto.

Verrà usato esclusivamente per quelle attività di lavoro “individuate dalle amministrazioni” per i quali ci siano i “necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare in tale modalità”.

Per evitare che smart working diventi sinonimo di lavoro ininterrotto si punta a dividere il tempo lavorativo in tre fasce: operatività, contattabilità e inoperabilità, durante quest’ultima il lavoratore avrà diritto alla disconnessione completa.

L’accordo sarà individuale, verrano concordate:

  • la durata,
  • le giornate di lavoro in smart working,
  • il luogo dove lavorare (che non potrà essere comunque fuori dall’Italia).

Lo smart working sarà concesso specialmente a chi si trova in condizioni particolari come i genitori con figli con meno di 3 anni o disabili, o lavoratori con disabilità. Esclusi dallo smart working quei lavori che richiedono l’uso di strumenti non remotizzabili né i lavori in turno che vanno fatti, per forza di cose, in presenza.

Smart working: il nodo del green pass

Il via libera del governo al Green pass obbligatorio per i lavoratori pubblici e privati apre nuovi scenari anche sul fronte smart working, visto come possibile “scappatoia” per aggirare l’obbligo vaccinale per i lavoratori.

Secondo quanto filtra da fonti di Governo il Green pass infatti potrebbe essere non richiesto se per esigenze di ufficio il datore di lavoro chiede al dipendente di lavorare in smart working, “ma – viene sottolineato – l’assenza del certificato non può dare in automatico diritto al lavoro da remoto”. Se però l’azienda richiede la presenza del lavoratore in sede, scattano le regole previste dal nuovo decreto per i lavoratori sprovvisti di green pass: sospensione o aspettativa.

Smart working: boom durante la pandemia

Durante la fase più acuta dell’emergenza, come rilevato la ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, lo Smart Working ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle PA italiane e il 58% delle PMI, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570mila censiti nel 2019.

Un esperimento forzato, causato dalla necessità di contenere i contagi, ma che ha aperto interessanti prospettive per un’adozione più diffusa anch dopo la fine dell’emergenza. Magari in una forme ibrida, che integri e alterni lo smart working al lavoro in presenza.