Economia

Scambio automatico di informazioni: contribuenti sono veramente preparati?

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A cura di Tancredi Marino, Partner DWF

Dopo molti preparativi ed una lunga campagna mediatica, è divenuto operativo il c.d. scambio automatico annuale di informazioni tra Autorità Fiscali dei Paesi OCSE, definito Common Reporting Standard (CRS). Nel 2014 e 2015 questi meccanismi hanno avuto grande visibilità su quotidiani italiani e sulle riviste specializzate (ci si riferisce al periodo della “voluntary disclosure”); ora, invece, l’argomento parrebbe essere stranamente desueto.

In realtà, in questo ultimo periodo l’Amministrazione finanziaria italiana ha rielaborato le informazioni ricevute dalle domande di collaborazione volontaria, utilizzando anche quanto emerge dalle banche dati dell’Anagrafe Tributaria e, in aggiunta, lo scorso 30 settembre 2017 molti Stati hanno trasmesso le informazioni finanziarie dei contribuenti per il periodo di imposta 2016. In particolare, si tratta di un totale di 49 Paesi, fra cui tutti i Paesi UE ed il Liechtenstein,che hanno avviato lo scambio da settembre 2017, mentre un totale di 53 Paesi (fra cui Monaco, Hong Kong, Singapore e Svizzera) daranno corso allo scambio a settembre 2018.

Pertanto, l’Amministrazione finanziaria italiana il prossimo settembre riceverà i dati di Svizzera, Montecarlo, Hong Kong, Singapore e, in forza di un accordo “dell’ultimo minuto”, anche di Bahamas. Come attestato dalle statistiche ufficiali molti contribuenti hanno aderito alle ultime edizioni di collaborazione volontaria (voluntary disclosure), ma – sempre in base alle stesse stime dell’epoca della Banca di Italia – una cifra molto importante sarebbe oggi detenuta dagli italiani all’estero in violazione delle norme fiscali italiane. Parrebbe, infatti, che molti patrimoni “offshore” siano stati trasferiti nel periodo anteriore al 2014 a Bahamas, che tuttavia ha aderito molto discretamente al CRS lo scorso anno: questo dettaglio – di non poco conto – non è noto a molti “depositari” italiani (e francesi).

La struttura del CRS espone il contribuente ad un rischio molto concreto di accertamento tributario, virtù via dei numerosi Stati che vi hanno aderito, nonché del flusso di segnalazioni contenenti dati anagrafici e patrimoniali che le istituzioni finanziarie comunicano alle Autorità fiscali in relazione ai propri clienti fiscalmente residenti all’estero.

Come accennato, peraltro, molti contribuenti sono completamente ignari di essere stati inseriti nello scambio automatico.
In aggiunta, con recenti report l’OCSE sta mettendo pressione sui vari Paesi, per cui è probabile che il CRS farà emergere diverse costruzioni giuridiche finalizzate all’aggiramento degli accordi internazionali, come ad esempio le finte residenze estere, società holding, trust e fondazioni.

Come conseguenza della prima applicazione del CRS, l’Agenzia delle Entrate ha recentemente inviato questionari con richiesta di spiegazioni a diversi contribuenti italiani (come documentato anche da recenti articoli di stampa specializzata nonché da comunicazione di Assofiduciaria, con lettera CM 2018017). Pertanto, il Fisco italiano, al fine di contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale internazionale, sta investigando sui patrimoni esteri dei soggetti fiscalmente residenti in Italia con l’invio di questionari, finalizzati a chiarire le anomalie sorte dal controllo incrociato (automatizzato) delle informazioni fornite dalle autorità fiscali straniere e da quanto denunciato dai contribuenti nelle rispettive dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche (effettivamente) titolari di patrimoni all’estero (ossia il modello UNICO PF, quadro RW).

I destinatari dei questionari summenzionati sono invitati (rectius: compulsati) a fornire in maniera tempestiva le informazioni ed esibire i documenti contabili richiesti dall’Agenzia delle Entrate.

Va notato che un atteggiamento non collaborativo del contribuente, che omette in tutto o parzialmente di fornire dati, informazioni e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, può avere come conseguenza il divieto di utilizzazione delle stesse in sede amministrativa e contenziosa, ma, soprattutto, può determinare l’applicazione presuntiva di imposte sul reddito e l’irrogazione di sanzioni pecuniarie a vario titolo.

Dunque, il “silenzio” può ingenerare un elevatissimo rischio di oneri fiscali (e di ulteriori “beghe” legali). A ciò va aggiunto che per i patrimoni esteri i termini di accertamento tributario per l’Agenzia delle Entrate sono dilatati e che tale rischio è indirizzato alla persona fisica.

Pertanto, il consiglio per chi – per qualunque motivo – è stato inserito nel sistema CRS dagli intermediari finanziari e non ha (ancora) regolarizzato la sua posizione fiscale, è di:

  • a. seguire la strada maestra del “ravvedimento operoso” spontaneo, che attualmente è l’unico istituto con cui sanare le violazioni tributarie (cfr. Norma AIDC n. 202/2018), con sanzioni pecuniarie ridotte a 1/8, 1/7 e 1/6 a seconda delle annualità da correggere. Inoltre, da valutare caso per caso, si potrebbe pensare alla c.d. procedura di “auto-denuncia” di cui alla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38/E del 23/12/2013; oppure,
  • b. in subordine, compilare quanto meno in dichiarazione fiscale il quadro RW (nonché RM e RT per i redditi finanziari) del periodo di imposta rilevante, versando i tributi di competenza; lo stesso si dovrà fare per ogni anno successivo e sino al futuro controllo fiscale per le annualità pregresse (si veda il meccanismo della “SOS” come sotto definito), durante il quale sarà poi possibile il “ravvedimento operoso in corso di verifica” con le sanzioni pecuniarie ridotte a 1/5. Per ragioni di completezza evidenziamo che, in questo scenario, gli intermediari (dottori commercialisti), in quanto soggetti obbligati ex art. 3 del D.Lgs 231/2007,vorranno provvedere – in via anonima e confidenziale – a effettuare la segnalazione di operazione sospetta (SOS) “senza ritardo”, al fine di non incorrere in sanzioni amministrative ex art.58 del D.Lgs231/2007 (la pena pecuniaria, in base al comma 2 del predetto articolo, può essere irrogata da euro 30.000 a euro 300.000).

Per concludere, chi detiene tuttora un patrimonio all’estero non regolarizzato dovrebbe consultarsi con un fiscalista esperto della materia al fine di evitare che il meccanismo del CRS ingeneri spiacevoli sorprese e, soprattutto, cagioni un notevole depauperamento personale dei propri averi, fra oneri fiscali e costi legali di difesa.