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Reddito di cittadinanza: centri per l’impiego alla prova del nove

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di Barbara Weisz

Il loro obiettivo è trovare lavoro ai beneficiari del reddito di cittadinanza. Ma le strutture sono inadeguate e aggiornarle richiede tempo

Più coinvolgimento delle agenzie private e una maggiore spinta alla digitalizzazione: sono le due richieste che arrivano dal mondo delle imprese sul fronte del rapporto con i centri per l’impiego, attorno ai quali ruota la parte legata alla ricerca di lavoro del progetto ‘reddito di cittadinanza’.
In tema di capacità di far incontrare domanda e offerta di occupazione

«oggi le competenze le hanno solo le agenzie private. Il pubblico non le ha»

segnala, senza mezzi termini, Claudio Galli, consigliere nazionale dell’Aidp, l’Associazione nazionale direttori del personale. E aggiunge:

«sarebbe utile che il settore pubblico funzionasse meglio».

Una posizione simile a quella indicata da Confindustria in sede di audizione, in commissione Lavoro al Senato, sulla legge di conversione del decretone che ha introdotto reddito di cittadinanza e quota 100, il dl 4/2019:

«Per incentivare l’attivazione lavorativa, predisporre la riqualificazione e favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, il decreto punta molto sui centri per l’impiego. È lecito porsi la domanda se le risorse stanziate e i pochi mesi previsti per entrare a regime siano sufficienti per rendere effettivamente operative ed efficienti strutture che hanno bisogno di una profonda riforma»

sono state le parole di Pierangelo Albini, direttore area lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria.

Rapporti fermi da tempo

C’è una data a partire dalla quale il sistema dei centri per l’impiego pubblici è collassato. Per Galli

«il rapporto fra queste strutture e il mondo delle imprese è terminato miseramente alla fine del 1984, quando non è stato più obbligatorio il nulla osta dei cpi per effettuare le assunzioni. Il problema è che i cpi hanno tentato di continuare a esercitare la loro intermediazione parassitaria. Questi centri avevano competenze, anche importantissime, sul fronte della conoscenza del territorio ma hanno perso il contatto con il mondo del lavoro, rimanendo attaccati solo alla burocrazia. Da quel periodo in poi è stata una discesa, anzi direi un crollo».

La parabola discendente è proseguita negli anni. Il risultato è che oggi, quando deve assumere qualcuno, il centro per l’impiego spesso è l’ultima cosa a cui un’azienda pensa.

«Sono molti anni che non ci danno soluzioni valide. Per contro, invece, il settore privato delle agenzie per il lavoro si è molto sviluppato e queste strutture stanno facendo molto bene, a dispetto di chi ha sempre fatto loro la guerra. Hanno facilitato l’intermediazione, sono diventate veri e propri datori di lavoro» conclude Galli.

La figura del navigator

La legge sul reddito di cittadinanza assegna un ruolo fondamentale ai centri per l’impiego. Sono le strutture che dovranno favorire l’incontro fra domanda e offerta di lavoro.Sono previsti investimenti per il loro potenziamento in particolare con l’assunzione dei cosiddetti “navigator”, ovvero i tutor che si occuperanno di offrire percorsi di riqualificazione alle persone che percepiscono il rdc al fine di aiutarle a inserirsi nel mercato del lavoro.
Il navigator è una figura professionale del tutto nuova, che affiancherà i beneficiari del nuovo ammortizzatore sociale individuando attività specifiche, mettendo a punto un programma di riqualificazione o di aggiornamento, e verificando che venga rispettato.

Effetto quota 100

C’è un altro provvedimento del governo, “Quota 100”, che non ha nulla a che fare con il reddito di cittadinanza ma che potrebbe influire sulla struttura organizzativa dei centri per l’impiego. È Claudio Galli a offrire questo spunto critico al dibattito che si è sviluppato intorno alle modalità con cui verranno selezionati e assunti i navigator, ai titoli e al tipo di preparazione richieste.

«Fra circa un anno potrei andare in quota 100» esordisce, riferendosi ai requisiti richiesti per agganciare questa nuova forma di pensionamento anticipato. Prosegue: «lo stato manda in pensione, in anticipo, un professionista con le mie competenze e assume ragazzini senza esperienza perché facciano da intermediari fra domanda e offerta di lavoro, o addirittura creino le condizioni perchè i percettori del reddito di cittadinanza ricevano offerte di lavoro».

Con una buona dose di scetticismo sulla possibilità che l’intero processo funzioni l’esperto di risorse umane definisce la costruzione molto ardita.

«Temo che alla fine il reddito di cittadinanza si aggiunga ai tanti sussidi che già abbiamo, e porti all’assunzione di persone che non sapranno cosa fare». Per concludere propone una metafora illuminante: «Stanno provando a cambiare una macchina scassata sostituendo il parabrezza».

Il ruolo delle agenzie private

«Intendiamoci, il settore pubblico ha competenze molto elevate» ammette il dirigente Aidp, ma il punto è sempre lo stesso: «i centri per l’impiego rappresentano una frazione piccolissima in materia di collocamento rispetto alle aziende private».

I numeri di Istat confermano l’insuccesso e la bassa efficacia di queste strutture. Solo un disoccupato su quattro si rivolge a un centro per l’impiego e, se lo fa, nella quasi totalità dei casi (97,6%) non ritiene utile il servizio ricevuto.
Anche Confindustria conferma la scarsa utilità, allo stato attuale, delle strutture pubbliche per la ricerca del lavoro. Albini sottolinea in particolare le tempistiche molto ristrette per mettere in funzione una macchina così complessa. I primi assegni di cittadinanza verranno erogati in aprile.

«Questi centri dovrebbero essere messi in grado, nel giro di pochi mesi, di procurare offerte di lavoro a una platea ben più ampia di quella che attualmente si rivolge loro e, verosimilmente, più difficilmente occupabile, in quanto composta da individui che hanno titoli di studio mediamente bassi e, in molti casi, disoccupati da anni e quindi con competenze lavorative obsolete».

Differenze geografiche

Un altro aspetto sottolineato dagli esperti riguarda la necessità di promuovere maggiormente la mobilità geografica del lavoro.

«A Reggio Calabria – ha sottolineato Albini nel corso dell’audizione in Senato – la percentuale di persone tra i 15 e i 64 anni che risultano occupate è del 37,5% contro il 69,2% di Lecco. Vi sono molte altre province nel Sud Italia dove la percentuale rimane sotto il 40 per cento. Portare il tasso di occupazione di questi luoghi sui valori osservati mediamente al Nord richiederebbe un aumento della domanda di lavoro e dei livelli di attività locale nell’ordine del 70%».

Su un orizzonte di dieci anni ciò implicherebbe avere una crescita media annua di oltre il 5%. Per Confindustria

«andrebbe invece maggiormente valorizzato, quantomeno nella fase iniziale di questa difficile transizione, l’apporto delle agenzie per il lavoro private, che sta dando ottimi risultati in alcune aree del Paese».

Ci vuole il digitale

«La vera cosa da fare – sottolinea Galli – è la rivoluzione digitale. Su questo bisognerebbe concentrare gli sforzi, anche in materia di centri per l’impiego. Però devono diventare più digitali di Google e Facebook».

La digitalizzazione è la direzione da prendere, anche per valorizzare le

«tante persone capaci che ci sono nel network della pubblica amministrazione, e che potrebbero fare passi avanti. La norma prevede in effetti notevoli investimenti anche sul fronte della digitalizzazione, ad esempio con la creazione di specifiche piattaforme informatiche una delle quali istituita proprio presso l’Anpal (Agenzia nazionale politiche per il lavoro) per il coordinamento dei centri per l’impiego».

L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di marzo del magazine Wall Street Italia