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Polexit infiamma l’Ue. Ursula von der Leyen: pronti ad agire

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Faccia a faccia oggi tra la  presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il premier polacco Mateusz Morawiecki dopo la sentenza della Corte suprema di Varsavia che ha aperto di fatto il dossier Polexit.

Scontro tra Ursula von der Leyen e premier polacco

Lo scorso 7 ottobre la Corte Costituzionale ha stabilito che ogni legge imposta dall’Unione può essere applicata in Polonia solo se è conforme alla legge di questo Stato. Dal 1957, la costruzione europea si basa sul principio del primato del diritto europeo, il cui ordine giuridico comunitario è stato riconosciuto dalla Corte di giustizia nel 1963 e 1964. Di fatto, quando un Paese entra volontariamente nell’Unione Europea, deve formulare e negoziare leggi e politiche con gli altri membri. In Polonia è successo che una sentenza della Corte suprema ha affermato il primato della legge nazionale su quella comunitaria e ha di fatto aperto all’uscita del Paese dall’Unione europea. La sentenza della Corte costituzionale di Varsavia afferma che due articoli (1 e 19) dei trattati europei non sono compatibili con la Costituzione polacca.

Intervenendo al dibattito al Parlamento europeo sulla crisi dello stato di diritto in Polonia, Ursula Von der Leyen ha sostenuto:

Noi siamo preoccupati per la recente sentenza della Corte costituzionale polacca. La Commissione europea sta valutando attentamente questa sentenza a posso però già dirvi oggi che sono fortemente preoccupata perché mette in discussione la base della Ue e costituisce una sfida diretta all’unità degli ordinamenti giuridici europei”. “La Commissione europea agirà (…) “Per noi è una scelta di civiltà l’integrazione europea, noi siamo qui, questo è il nostro posto e non andiamo da nessuna parte, vogliamo che l’Europa ridiventi forte, ambiziosa e coraggiosa”.

Non si è fatta attendere la replica del premier polacco Mateusz Morawiecki specificando che la Polonia è “per un’Europa della difesa all’interno della Nato”.

“Troppo spesso abbiamo a che fare con un’Europa dei doppi standard. Non dobbiamo lottare uni contro altri. Non dobbiamo cercare colpevoli dove non ci sono. La Polonia è attaccata in modo parziale e ingiustificato. Le regole del gioco devono essere uguali per tutti. Non è ammissibile che si parli di sanzioni. Respingo la lingua delle minacce e del ricatto”. “L’Ue è una grande conquista dei paesi europei – ha continuato Morawiecki – ed è una forte alleanza economica, politica e sociale ed è organizzazione più forte meglio sviluppata della storia, però la Ue non è uno Stato, lo sono invece gli stati membri della Ue. Gli stati sono quelli che rimangono sovrani al di sopra dei Trattati”. “Nei trattati abbiamo concesso alcune competenze alla Ue ma non tutte le competenze”, ha aggiunto, perché “le competenze della Ue hanno dei limiti, non si può più tacere, diciamo no al centralismo europeo”.

La sentenza della Corte polacca potrebbe complicare non poco il via libera dell’Ue al Recovery fund della Polonia. C’è chi a Bruxelles infatti interpreta la sentenza come un modo, da parte di Varsavia, di alzare la posta nella trattativa sul Recovery. La Commissione europea difatti non ha ancora sbloccato i piani di Polonia e Ungheria per elargire i finanziamenti del Next Generation EU e centra in qualche modo anche lo scontro in corso su vari fronti tra l’Unione Europea e i due paesi, guidati entrambi da governi semi-autoritari.

Cosa può succedere adesso con l’articolo 7

Tra le opzioni possibili nei confronti della Polonia, come ha precisato la stessa numero uno della Commissione europea, le opzioni sono: le procedure di infrazione, il meccanismo di condizionalità ed altri strumenti finanziari. “E l’articolo 7, uno strumento potente su cui dobbiamo tornare”. “Questa situazione deve essere risolta e lo sarà”, ha aggiunto la von der Leyen.

L’articolo 7 del trattato sull’Unione europea prevede  in particolare la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Unione europea (ad esempio il diritto di voto in sede di Consiglio) in caso di violazione grave e persistente da parte di un paese membro dei principi sui quali poggia l’Unione (libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto). Restano per contro impregiudicati gli obblighi che incombono al paese stesso. In virtù dell’articolo 7, su proposta di un terzo dei paesi dell’Unione europea (UE)  o della Commissione o del Parlamento europeo, il Consiglio, deliberando a maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previo parere conforme del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave dei principi fondamentali da parte di un paese dell’UE e rivolgergli le appropriate raccomandazioni.