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Variante Delta: vaccino Pfizer meno efficace, avvertono da Israele

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Contro la variante Delta la copertura garantita dal vaccino anti-Covid prodotto da Pfizer è inferiore rispetto a quella ritenuta finora. Secondo i dati preliminari analizzati un uno studio condotto dal ministero della Salute israeliano, la protezione sarebbe del 64% dopo la seconda dose, contro un’efficacia dimostrata del 94% contro i precedenti ceppi del virus. Quella che rimane elevata è la capacità del vaccino Pfizer nel ridurre i casi gravi e le ospedalizzazioni, che risultano ridotte del 93% anche contro la variante Delta.

Il ministero della Salute israeliano ha pubblicato questi risultati basandosi su quanto emerso finora dai casi registrati nel Paese. Al 5 luglio i casi attivi in Israele sono raddoppiati (su base settimanale) a 2.600, di cui 35 gravi; 5 milioni di cittadini su una popolazione totale di 9 milioni, sono stati vaccinati con Pfizer.

“La variante Delta è molto più contagiosa, ma sembra non portare a malattie e morti più frequenti, soprattutto ora che abbiamo il vaccino”, ha detto il professore Nadav Davidovitch, membro del comitato di esperti che assiste il governo israeliano.

“Se i numeri continuano a crescere, ora raddoppiano ogni settimana, dobbiamo vaccinare il più rapidamente possibile il milione di persone rimaste – 200.000 oltre i 50 anni di età e naturalmente i bambini”, ha detto Davidovitch, “il governo probabilmente introdurrà anche elementi dello schema del green pass, introducendo la mascherina obbligatoria, test frequenti e un controllo più severo per tutti i passeggeri in arrivo all’aeroporto internazionale Ben Gurion”.

Il 57% dei cittadini del Paese ha completato la vaccinazione, percentuale che sale all’88% fra gli over 50.

Le possibili implicazioni

“Variante Delta, da Israele brutte notizie: il ministero della Salute riferisce che l’efficacia di Pfizer per la protezione contro la variante Delta scende al 64% dal 94% contro altri ceppi”, ha twittato il direttore del laboratori di computational genomics presso la Columbia University, Yaniv Erlich, “ciò ha importanti implicazioni per l’immunità di gregge e la capacità del virus di evolversi ulteriormente”.