di Paolo Mauri Brusa (Gam)

Quantitative easing, la fine di un’era

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Con l’ultima riunione della Fed appena tenutasi, si chiude l’era del Quantitative Easing. Il 2022 sarà l‘anno del cambio di regime monetario negli Stati Uniti, riuscirà la Banca Centrale a tenere a bada le spinte inflattive senza soffocare la crescita economica? Come reagiranno i Big della tecnologia al nuovo corso dei tassi?

Quello che ci apprestiamo a chiudere è un 2021 che, dal punto di vista degli investimenti, non ha certo deluso. L’arrivo dei vaccini ha permesso la ripresa dell’attività economica e soprattutto dei consumi, risultando decisivo. Così come decisivi sono state le politiche espansive delle maggiori Banche Centrali e i programmi di aiuto messi in campo da tutte le principali Economie.

Dopo la debolezza dell’ultima settimana, i listini azionari sono tornati sui massimi e stanno impacchettando, in vista del Natale, una performance a doppia cifra generata con una volatilità mediamente contenuta. L’S&P500 ha avuto quest’anno una manciata di fasi correttive che non sono mai andate oltre il -6% e il Vix è stato tendenzialmente inferiore al 20%. Più in generale, tutti i listini dei Paesi Sviluppati sono cresciuti molto ad eccezione del Giappone, condizionato negativamente dalle difficoltà della Cina. Se però analizziamo più in profondità i risultati degli indici, ci rendiamo conto dell’enorme dispersione a livello settoriale che mai come negli ultimi due anni, crea un effetto ottico fuorviante.

Guardando al Nasdaq, certamente l’esempio più eclatante, se dalla performance complessiva superiore al 20% depuriamo il contributo dei 5 titoli principali, quello che rimane è un ben più modesto 6%. Sintomo questo di una ripresa che è tutt’altro che generalizzata e che presenta ancora oggi molte fragilità.

È utile ricordare che il livello estremamente basso dei tassi d’interesse, benché non sia ovviamente l’unica ragione, ha avuto un ruolo chiave nella corsa dei mercati. Il 2022 però si apre con una grande novità, la conclusione del tapering da parte della Federal Reserve. Come era nelle attese, visto il recente miglioramento del mercato del lavoro, Powell ha anche deciso di accelerare i tempi ponendo fine agli acquisti mensili di Treasury e Mbs già dal prossimo mese di marzo.

Le stime dei membri del Fomc indicano tre rialzi nel 2022 e altri tre nel 2023, come fra l’altro i mercati stavano già prezzando da qualche settimana. Powell ha però ribadito ancora una volta che, in caso di modifiche del quadro macroeconomico o di quello pandemico, la Fed potrà in ogni momento ritornare sui propri passi. La vera incognita per il prossimo anno sarà proprio legata alla capacità della Banca Centrale americana di arginare le spinte inflattive senza impattare in modo eccessivo sulla crescita economica e senza creare scompensi sui mercati finanziari.

Oltre che la corretta calibrazione dei rialzi, sarà cruciale l’efficacia della comunicazione, ambito in cui la Fed ha avuto in passato qualche passo falso. Ma di questo ce ne preoccuperemo più avanti, per ora guardiamo con cauto ottimismo al futuro. Nel frattempo, Santa Powell ha finito di addobbare l’albero.