di Paolo Mauri Brusa (GAM)

Obbligazionario: e la curva dei rendimenti si impenna

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Il 2021 potrebbe rappresentare un anno di svolta per il mercato delle obbligazionario. Le curve dei governativi dei Paesi Sviluppati sono ai minimi storici e una ripresa della crescita a livello globale potrebbe determinare un movimento di normalizzazione dei rendimenti, a dispetto di politiche monetarie ancora molto espansive da parte delle principali Banche Centrali.

Nelle prime due settimane di novembre si sono verificati flussi record in acquisto sulle azioni a livello globale, i più alti mai registrati, sull’onda delle notizie positive in merito all’efficacia di diversi vaccini e alla loro imminente disponibilità sul mer­cato. Gli operatori hanno iniziato a riposizionarsi sui settori ciclici, in previsione di un miglioramento delle prospettive di crescita per il 2021 e della fine dei lockdown.

Contestualmente abbiamo assisti­to a un rialzo dei rendimenti della curva Treasury americana, con il decennale che in una prima fase è passato dallo 0,7% a quasi l’1%, salvo poi ritrac­ciare in area 0,85%. E molte Case d’investimento si sono affrettate ad adeguare le stime per il prossimo anno, prevedendo un rendimento all’1,5% fra dodici mesi, malgrado la Fed abbia confermato in più oc­casioni che non vi saranno ritocchi nei tassi ufficiali prima del 2023.

Nell’ultimo Fomc meeting dell’anno che si terrà a metà dicembre, la Banca Centrale americana dovrebbe fornire maggiori dettagli sulle future scelte monetarie. In primavera l’azione della Fed era stata determinante, con un’iniezione di liquidità che aveva sfiorato i 3000 miliardi di dollari, molto più di quanto fatto nel 2008, ma nei mesi suc­cessivi il bilancio era rimasto invariato, almeno fino a settembre quando c’è stata un’ulteriore “mini” espansione di circa 150 mld.

In più occasioni, infat­ti, Powell ha stigmatizzato come la politica mone­taria da sola abbia un’efficacia limitata, è indispen­sabile che sia affiancata da un’adeguata politica fiscale per poter avere effetti tangibili sull’economia. In attesa quindi che il Congresso proceda finalmen­te con l’approvazione del pacchetto fiscale, la Fed potrebbe riproporre l’Operation Twist 2.0, com’è già stato rinominato, ovvero acquisti selettivi della parte lunghissima della curva, per ridurre lo spread 10-30 anni, lasciando invece che la parte medio-lunga si irripidisca un poco, ovvero ci sia un ampliamento dello spread 2-10 anni. Questo porterebbe di sicuro dei benefici a tutto il settore finanziario, in particola­re alle banche tradizionali, per le quali un aumento dei margini d’intermediazione si tradurrebbe ovvia­mente in un miglioramento della loro redditività.

Per i risparmiatori però, un aumento dei rendimenti della parte medio-lunga potrebbe costituire un problema. I tassi a breve estremamente bassi o negativi, al momento non costituiscono certo una buona alternativa d’investimento, e un rialzo della parte intermedia porterebbe a discese dei prezzi non trascurabili.
Sul decennale, per esempio, se si verificasse il rialzo ipotizzato dagli analisti, ovvero fino all’1,5% entro fine 2021, l’impatto negativo sui prezzi sarebbe di circa il 6%, solo parzialmente miti­gato dalle cedole.

Difficile da tollerare per un cliente del mercato obbligazionario conservativo, abituato alle performance positive del più lungo bull market obbligazionario della storia. Ma le contromisure, in particolare per una cliente­la poco sofisticata, come può essere un piccolo risparmiatore retail, non sono molte. Diversamente, un investitore istituzionale ha un ampio spettro di alternative: in primis aprire tatticamente delle posi­zioni ribassiste via future o opzioni, per approfittare del rialzo dei rendimenti e ricercare nel contempo opportunità d’investimento in altre aree in un’ottica di diversificazione.