Alla chiusura di questo complesso 2024, si può osservare come il contesto macroeconomico si sia mantenuto comunque positivo per i mercati occidentali, seppur con profonde differenze. Da un lato, gli Stati Uniti stanno ancora contribuendo in maniera determinante alla crescita globale, mentre l’Eurozona registra sì una modesta ripresa, ma con grandi disparità tra Stati membri e settori. La principale causa di questo gap è da ricondurre ai consumi interni e al reddito disponibile, che oggi appaiono molto più solidi negli Usa.
Consumi e crescita
Il mercato del lavoro statunitense ha superato la fase di eccesso di domanda che si era riscontrata in estate e ciò solitamente comporta un calo delle spese delle famiglie. Tuttavia, stavolta questa previsione non è così sicura in quanto molto dipenderà dai trend che influenzeranno il mercato nei prossimi mesi e soprattutto dalla politica del nuovo presidente Donald Trump. Infatti, negli States ci sono numerosi tagli alle imposte che scadranno nel 2025, ma se Trump dovesse decidere di prolungarli, allora i consumi riceverebbero un’ulteriore spinta, che si trasformerebbe in crescita addizionale. Nell’Unione Europea, non ci aspettiamo grandi rally in ambito lavorativo e, di conseguenza, nei consumi, ma si dovrebbero registrare comunque dei miglioramenti. Infatti, anche nel nostro mercato la disoccupazione sta scendendo e gli stipendi stanno tornando ad adeguarsi all’inflazione. Tuttavia, la vera ripresa inizierà quando assisteremo a una risalita degli investimenti, in primis di quelli residenziali e aziendali, sostenuti da condizioni di finanziamento meno stringenti.
Il taglio dei tassi proseguirà nel breve termine
Quest’anno si è anche assistito a progressivo abbassamento dell’inflazione verso la soglia target del 2%; un evento che ha permesso alle maggiori banche centrali di operare i primi allentamenti della loro politica monetaria. Ad oggi, infatti, il trade-off tra crescita e inflazione appare più bilanciato, con quest’ultima che sembra aver intrapreso un percorso che la dovrebbe riportare sotto il livello di guardia già nel 2025. Pertanto, prevediamo che il taglio dei tassi continuerà anche nei mesi a venire e, nello specifico, prevediamo che nell’Area Euro raggiungeranno la soglia di “neutralità” (attorno al 2%). Per gli Stati Uniti, invece, la questione è più complessa, dato che l’eventuale applicazione di nuove tariffe doganali da parte di Trump rappresentano oggi il rischio maggiore per una nuova impennata dell’inflazione. In ogni caso, è molto improbabile che queste siano applicate e mostrino i loro effetti prima del secondo semestre del prossimo anno, ma per prevenire eventuali crisi, la Federal Reserve potrebbe decidere di mantenere i tassi su livelli più alti di quelli attesi, tra il 3% e il 4%.
Trump: grandi discrepanze tra breve e lungo periodo
Dai paragrafi precedenti emerge chiaramente come l’ingresso nel 2025 mostri più luci che ombre, ma anche come su ogni outlook aleggi l’incognita Donald Trump, dato che sono ancora molti i punti oscuri della sua politica, tra cui le tempistiche, la portata e, di conseguenza, l’impatto che potrebbe avere sull’economia statunitense e anche globale. Attualmente, l’unica previsione che è possibile fare è quella per cui il taglio delle tasse dovrebbe avere un effetto sulla crescita abbastanza forte da compensare le forze contrarie derivanti dai dazi e da una normativa più stringente sull’immigrazione. Tuttavia, nel più lungo periodo, gli effetti della fiscalità favorevole tendono generalmente ad essere riassorbiti e ciò farà emergere più chiaramente la zavorra rappresentata dalla politica protezionistica. Pertanto, l’impatto potrebbe variare a seconda della tempistica, dei mercati che saranno maggiormente coinvolti e anche dell’attitudine che Trump deciderà di avere verso un contesto geopolitico già molto teso.