di Peter Kinsella (UBP)

Dollaro Usa, perchè non è più un bene rifugio

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Dall’inizio dell’anno, il dollaro Usa ha sovraperformato sia le valute dei Paesi del G-10 sia quelle dei mercati emergenti, riflettendo la svolta falco della Federal Reserve. Poiché l’inflazione ha continuato a salire, i mercati hanno prezzato un ciclo di rialzi aggressivo, a vantaggio del biglietto verse. Lo US Dollar Index è salito di quasi il 10% e il dollaro americano ha raggiunto i massimi pluriennali su quasi tutte le misure di valutazione.

Storicamente, il dollaro tende a raggiungere un picco in concomitanza con il primo rialzo annuale dei tassi da parte della Fed e ci sono diversi indizi che fanno pensare che lo abbia raggiunto dopo il primo rialzo a marzo. Innanzitutto, l’inflazione Usa ha iniziato a rallentare, suggerendo che è improbabile che la Fed aumenti i tassi oltre le attuali proiezioni di mercato senza un ulteriore segnale di inflazione. A conferma, gli overnight index swap (OIS) hanno escluso ogni prospettiva di un rialzo dei tassi nel 2023.

In secondo luogo, i rendimenti a lungo termine e le previsioni sull’inflazione breakeven hanno iniziato a scendere, a riprova del fatto che i mercati ritengono che l’inflazione sia una preoccupazione secondaria rispetto alle prospettive di crescita, per le quali crescono i timori.

Le prospettive per il dollaro

Di conseguenza, un percorso di rialzo dei tassi inferiore alle attese dovrebbe impedire un ulteriore e sostenuto apprezzamento del dollaro rispetto ai livelli attuali, a meno che le prospettive di crescita non si deteriorino più rapidamente per il resto del mondo rispetto agli Stati Uniti. Sebbene le probabilità di un rallentamento della crescita o addirittura del rischio di una vera e propria recessione stiano aumentando, ci aspettiamo che solo nell’improbabile eventualità che si ripeta una crisi come quella del 2008-2009 il dollaro possa essere ancora un bene rifugio.

Con l’allentamento della crescita Usa, le valute di Paesi con surplus delle partite correnti come lo yen, l’euro e il franco svizzero, dovrebbero apprezzarsi contro il dollaro. L’euro beneficerà dei prossimi rialzi dei tassi da parte della Bce, a seguito del picco di inflazione. La Bce è sensibile al fatto che la debolezza della valuta ha amplificato gli effetti dell’inflazione importata sull’Eurozona.  L’euro dovrebbe inoltre beneficiare di un ritorno a tassi di deposito bassi, grazie ai rimpatri di capitale degli investitori obbligazionari.

Lo yen giapponese tende ad apprezzarsi durante i periodi di rallentamento economico, in conseguenza del fatto che gli investitori giapponesi tendono a far rientrare i capitali. Nei primi due trimestri si è deprezzato di quasi il 20%, quando si è verificata la correlazione di lunga data tra USD/JPY e i rendimenti dei titoli USA a 10 anni. Con una dinamica di inflazione interna ancora bassa, il tasso di cambio reale dello JPY si è notevolmente deprezzato. Poiché i mercati escludono la prospettiva di un rialzo dei tassi della Fed nel 2023, riteniamo che l’USD/JPY possa rafforzarsi nuovamente verso 125.

Le prospettive per i metalli preziosi

Nell’universo dei metalli preziosi, i rischi a breve termine per l’oro tendono leggermente al ribasso. Con l’inizio di un rallentamento dell’inflazione e la previsione di ulteriori rialzi dei tassi, i tassi d’interesse reali aggiustati per l’inflazione potrebbero aumentare. Questo di solito rappresenta uno sviluppo negativo per l’oro.

Tuttavia, qualsiasi movimento al ribasso dovrebbe essere limitato, a causa dei livelli persistentemente elevati di incertezza geopolitica. I nostri modelli di fair value a lungo termine per l’oro sono allineati a prezzi di circa 2.000 dollari l’oncia. Pertanto, nei prossimi mesi non dovrebbero esserci ribassi significativi dei prezzi al di sotto dei 1.800 dollari.