di Alexandre Marquis (Unigestion)

Coronavirus: il cigno nero dei mercati azionari globali

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Il 30 gennaio 2020, il Comitato d’emergenza dell’OMS che si occupa del Regolamento sanitario internazionale ha dichiarato lo scoppio del nuovo Coronavirus (COVID-19), definendola un’”emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale”. Da allora il numero di casi è aumentato in Cina e, soprattutto, nel resto del mondo.

Analizziamo i risultati della nostra strategia globale di gestione del rischio dalla comparsa del virus e cosa ci può riservare il futuro.

Implicazioni di mercato del Coronavirus
Oltre al tributo umanitario, che è stato immenso, l’epidemia da Coronavirus ha avuto importanti implicazioni di mercato per i Paesi emergenti e non solo. A gennaio, i mercati azionari emergenti hanno invertito il rally di fine 2019 chiudendo il mese al ribasso, nonostante lo slancio positivo di Stati Uniti e Cina che hanno firmato l’accordo commerciale di “fase uno”.
Il sell-off, che ha visto il MSCI Emerging Markets TR Net scendere di quasi il 5%, è stato trainato principalmente dai mercati asiatici, con lo scoppio del virus che ha innescato movimenti importanti nel corso del mese. Sebbene le ricadute si siano concentrate in gran parte sui mercati cinesi e asiatici, anche gli emergenti europei hanno registrato performance negative a gennaio, con la Grecia particolarmente debole. Mentre la maggior parte dei settori ha visto un mese deludente, i titoli legati a software e sanità hanno fornito rendimenti positivi. L’incertezza ha anche interrotto la solida performance dei titoli caratterizzati da un maggior beta.

A febbraio, i mercati azionari globali hanno subito un forte calo, dato il numero crescente di casi di COVID-19 segnalati nella Cina continentale e in alcuni mercati sviluppati. L’epidemia ha originato un’elevata volatilità, in particolare alla fine di febbraio, quando le borse hanno vissuto la settimana peggiore dai tempi della crisi finanziaria globale.

Le preoccupazioni relative alla crescita hanno continuato a pesare sulle prospettive economiche globali e il prezzo del petrolio ha subito un altro forte calo nel corso del mese. Anche i mercati azionari emergenti hanno sottoperformato, ma hanno tenuto relativamente bene rispetto ai loro omologhi sviluppati, in parte a causa della flessione che avevano già sperimentato a fine gennaio.
Sebbene la Cina se la sia cavata relativamente bene grazie al sostegno della banca centrale che ha fornito stimoli fiscali all’economia, alcuni mercati tradizionalmente difensivi, come Thailandia e Corea del Sud, non sono riusciti ad attutire il panico. Tra i settori, servizi di comunicazione, real estate e sanità sono andati leggermente meglio del mercato (anche se ancora in calo), mentre l’energia è stato quello più debole.

Come ha performato il nostro portafoglio di gestione del rischio azionario?
La strategia privilegia settori come telecomunicazioni, utilities e farmaceutica, relativamente immuni ai cicli economici e con caratteristiche più difensive. Queste aziende forniscono prodotti e servizi necessari sia nei periodi buoni che non. Inoltre, il portafoglio è meno esposto ai settori legati a vendite al dettaglio, media & entertainment, rispetto all’indice di mercato.

Dall’inizio dell’epidemia, la strategia ha sovraperformato l’indice MSCI ACWI, grazie al contributo dato da allocazione e selezione. Sovrappesare telecomunicazioni e utilities e sottopesare l’energia è stata una scelta positiva. Al contrario, sottopesare software e semiconduttori si è dimostrata una decisione sfavorevole.

Proteggersi dalle fasi di ribasso durante un cigno nero
Per comprendere meglio l’impatto sul mercato dell’attuale epidemia, abbiamo esaminato la risposta della nostra strategia azionaria globale di gestione del rischio durante altre situazioni simili, analizzando la performance relativa durante la pandemia da H1N1 del 2009, l’aviaria A del 2013 (H7N9) e il virus Ebola dal 2014 al 2016. Come mostrato di seguito, la strategia tende a registrare una minore correzione rispetto a quella del mercato quando si verificano dei “cigni neri”.

Conseguenze sul portafoglio
Stiamo seguendo da vicino l’evoluzione della crisi da COVID-19 e rivedendo l’esposizione alla Thailandia, che è uno dei nostri maggiori sovrappesi. In linea generale, prevediamo una riduzione significativa dei mercati emergenti.

Dall’inizio dell’epidemia, la Thailandia è stata colpita duramente a causa della sua elevata esposizione al turismo, in particolare dalla Cina. Questo settore rappresenta circa il 15% del Pil del Paese e i turisti cinesi rappresentano un terzo degli arrivi internazionali.
La Thailandia è entrata in questo periodo difficile con uno slancio economico relativamente debole e le esportazioni, così come il turismo, subiranno un contraccolpo nel breve termine. In risposta, la banca centrale ha tagliato i tassi d’interesse all’1% (il minimo storico) e, con un rapporto debito/Pil del 40%, ha spazio in abbondanza per un ampio pacchetto di stimoli fiscali.

Stiamo anche valutando attentamente le nostre posizioni in titoli con una significativa esposizione al virus, in particolare le partecipazioni legate a turismo e viaggi. Ad esempio, siamo intervenuti su alcuni delle azioni più esposte (Airport of Thailand, Krung Thai Bank). Finora i nostri portafogli hanno mostrato una certa resistenza al ribasso e ci aspettiamo che forniscano una protezione ancora migliore nel lungo periodo.

Durante le correzioni di mercato significative, la dispersione rimane di solito bassa all’inizio, poiché il de-risking sistematico ha un impatto negativo su tutti i titoli. Prevediamo una maggiore dispersione nelle prossime settimane, se questa correzione dovesse persistere, in quanto i titoli con fondamentali e livelli di valutazione più solidi dovrebbero – in ultima analisi – beneficiare di una migliore fiducia da parte degli investitori.
Nell’ottobre 2008 abbiamo assistito a un comportamento simile da parte del nostro portafoglio globale, quando la strategia registrò una cattura della fase di ribasso superiore all’85%, mentre il mercato perdeva oltre il 20%.

Guardando avanti
Il sell-off è stato sostenuto dalla combinazione di timori per le previsioni di crescita futura, da valutazioni estreme e da specifiche di mercato come il peso delle strategie sistematiche e passive. Il numero di persone colpite dalla malattia è aumentato al di fuori dell’Asia, aumentando significativamente la possibilità di vedere lo stesso tipo di quarantena massiccia implementata in Cina, scuotendo gli investitori troppo compiaciuti. In Europa e negli Stati Uniti, le grandi aziende hanno consigliato ai loro dipendenti di evitare di viaggiare per lavoro, le scuole hanno chiuso, gli hotel sono stati messi in quarantena e i summit cancellati, in uno sforzo globale per fermare la propagazione.

Ma quanto può pesare questo blocco economico sulla crescita? Guardando la letteratura sull’epidemia, il modello standard dell’influenza assume che il 90% delle scuole chiuda (compliance rate) e che le famiglie impongano quarantene di due settimane nel 60% dei casi (compliance rate, in cui adulti e bambini non hanno contatti esterni). Questo è quanto è stato implementato in Cina nella regione più colpita. Utilizzare il Pil medio pro capite per due settimane ci permette di stimare l’impatto sul prodotto dei paesi. I risultati dei nostri calcoli basati su queste ipotesi mostrano che l’impatto sarebbe pari ad una crescita inferiore 2,3%.
Questo lascerebbe la Cina con una crescita del 3% e gli Stati Uniti con un Pil atteso marginalmente negativo, mentre l’Europa sarebbe spinta in recessione, dato il suo minore tasso di crescita potenziale. I primi dati rilasciati dalla Cina nel fine settimana confermano questo calcolo: i dati PMI cinesi sono ai livelli più bassi mai registrati. L’indicatore del settore manifatturiero è sceso a 35, mentre i servizi sono scesi a 29, molto al di sotto dei livelli del 2008. Monitoreremo su base giornaliera l’impatto dei prossimi dati, tramite il nostro Growth Nowcaster, per determinare se l’impatto provocherà uno shock profondo e di lunga durata oppure un calo a breve termine.

Al momento, sulla base del nostro outlook, non rischiamo di assistere ad una grave recessione dovuta alla diffusione del virus, ma piuttosto ad un marcato rallentamento seguito da una ripresa.
Il sentiment ha guidato il mercato, diventando molto più ribassista.
I deflussi dalle attività di rischio sono stati giganteschi, con almeno 20 miliardi di dollari USA ritirati dai fondi comuni di investimento azionari e dagli ETF in una settimana, oltre a 5 miliardi di dollari USA ritirati dai fondi di credito blockbuster. Il deleveraging sistematico si è fatto sentire quando la volatilità è esplosa: la propensione al rischio è passata dall’essere estremamente ottimista, alla disperazione fino al pessimismo estremo.

Le valutazioni hanno visto una correzione, soprattutto per gli asset legati alla crescita. Tuttavia rimangono ben al di sopra della loro media storica. Ad esempio, se guardiamo il rapporto CAPE di Shiller, è ancora intorno a 30, più basso rispetto alla bolla delle dotcom, ma ben al di sopra dei livelli del 2007.
Infine, una parte importante per la stabilizzazione del sentiment dovrà venire dalle banche centrali, che hanno già cercato di rassicurare sul futuro percorso dell’attività economica e sulla loro intenzione di agire se necessario. A titolo di esempio, in una mossa d’emergenza del 3 marzo, la Federal Reserve statunitense ha tagliato i tassi d’interesse di 50pb. È probabile che si assista a un ulteriore allentamento a livello globale.