10:11 martedì 7 Dicembre 2021

Tim nomina advisor finanziari per valutare offerta Kkr, ma i francesi di Vivendi in testa hanno un altro piano

Oltre a un Monte di Stato eterno come Mps si parla nelle ultime ore, sia facendo riferimento alle possibili strategie dei francesi di Vivendi, sia alle dichiarazioni arrivate da Beppe Grillo, si parla ora anche della possibilità di una Tim di Stato, con più CdP nel capitale. Nessuna sorpresa da parte del fondatore del M5S, movimento a cui la parola nazionalizzazione è sempre piaciuta. E movimento che ha in qualche modo sponsorizzato sempre la logica dello Stato padrone. Altro che logica di mercato, come dimostra in modo esemplare il caso della banca senese, controllata dal Mef – ministero dell’economia e delle Finanze – con una quota pari al 64%: una quota che non si sa più come e a chi sbolognare dopo la rottura delle trattative con UniCredit. La difficoltà è tale che lo Stato si appresterebbe a rimanere azionista di controllo del Monte dei Paschi di Siena fino al 2023.

Ma torniamo a Tim, entrata nei desiderata di un fondo di private equity americano. Già l’espressione fondo di private equity ha fatto drizzare le antenne a molti in Italia, tra chi ha rivendicato l’identità italiana di Telecom Italia – che, stando a quanto emerge dalla composizione dell’azionariato, italiana non è più – e chi, come i sindacati, ha parlato anche di un nuovo caso Alitalia, paventando migliaia di esuberi.

Nel frattempo, i francesi di Vivendi a sua volta capitanata dal magnate bretone Vincent Bollorè si sono messi al lavoro su un piano anti-Kkr.  La proposta di Vivendi, maggiore azionista di Tim con una quota del 24%, si basa sulla divisione del gruppo in due entità separate: una in cui andrebbero a confluire gli asset commerciali di Tim e dove i francesi sarebbero azionisti di maggioranza, l’altra una società della rete, che verrebbe controllata dallo Stato.

Non per niente i vertici di CdP e di Vivendi si sarebbero secondo indiscrezioni di mercato incontrati di recente e dovrebbero incontrarsi di nuovo presto, al fine di sviluppare una strategia comune che offra a Tim un’alternativa alla proposta del fondo americano che, si ricorda, è pari a 0,505 euro per azione ordinaria o risparmio. “L’ipotesi del controllo della rete da parte dello Stato, se fosse propedeutico a un progetto strategico a guida istituzionale verrà certamente valutato con apertura. Vivendi è interessata a tutte le soluzioni che promuovano l’efficienza e la modernità infrastrutturale della rete, preservando al contempo il valore del suo investimento”. In realtà, allo sdoppiamento di Telecom Italia in due entità separate punta anche il fondo di private equity. Così l’articolo di oggi de Il Sole 24 Ore:

“Sia americani che francesi guardano all’opportunità di realizzare uno spezzatino ed entrambi guardano alla Cdp per consegnarle la rete che, col golden power, non potrebbe essere ceduta liberamente sul mercato. La differenza è che la proposta americana passa da un’Opa a un prezzo intermedio, incassabile nell’immediato, per delistare il titolo e realizzare l’operazione in sede privata. Mentre l’iniziativa francese sottintende di attuare lo scorporo della rete col titolo quotato, rendendo partecipi tutti gli azionisti della creazione di valore, se ci sarà, in tempi più lunghi”.

C’è poi la ‘soluzione’ Grillo, che dice no alla rete unica, no allo sdoppiamento di Tim, sì alla maggior presenza di CdP nel capitale del gruppo. “È da oltre 30 anni che parlo di Telecom. Per questo, voglio condividere con voi alcune considerazioni a riguardo – scrive dal suo blog il fondatore del M5S -L’instabilità dell’azionariato di Telecom Italia ne pregiudica qualsiasi sviluppo di lungo termine e la espone a disegni finanziari strampalati, come lo scorporo della rete, che la condanna a morte. L’avvicendamento di diverse proprietà nel tempo, dall’Opa del 1999 in poi, tutte caratterizzate da scarsa propensione a capitalizzare la società, hanno messo la Telecom nella incapacità di sostenere gli investimenti necessari a competere su scala internazionale e ad attraversare congiunture difficili come quella determinata dalla eccessiva discesa dei prezzi della telefonia (con velocità doppia rispetto all’Europa)”.

“Il prezzo dell’azione Telecom – si legge ancora nell’articolo del comico genovese – scende quindi ai minimi storici e attrae i grandi fondi internazionali a prenderne il controllo per separare la parte infrastrutturale di rete (che si rivende a valori molto elevati) dalla parte che commercializza il servizio, che da sola non riesce a sostenere i livelli occupazionali attuali e difficilmente sopravviverebbe anche dopo licenziamenti drastici, dell’ordine di 25-30 mila dipendenti”.

Per Grillo “è irrealistico pensare ad uno scorporo della rete Telecom e alla fusione con Open Fiber, perché è troppo tardi: le due reti sono già in ampia misura realizzate e quasi totalmente sovrapposte, quindi i risparmi da fare modesti”.

CdP invece può dare stabilità all’azionariato. Come?

Nel modo seguente:

  • “Creazione di due reti in fibra in concorrenza sul mercato wholesale: Open Fiber – partecipata dalla Cassa depositi e prestiti per il 60% – da una parte e Telecom dall’altra, in grado entrambe di attrarre investitori istituzionali interessati ad investire su asset di lungo termine, favorendo anche una competizione basata non solo sui prezzi ma soprattutto sull’innovazione.
  • Uscita di CdP da Open Fiber e rafforzamento del proprio ruolo istituzionale in Telecom Italia, reinvestendo la importante plusvalenza che si determina dalla vendita della quota di controllo di OF ai fondi interessati (Macquarie, KKR, ecc).
  • Rafforzamento patrimoniale di Telecom, attraverso un aumento di capitale dedicato a CDP, o sotto altra forma, che la metta nelle condizioni di migliorare il rating complessivo dell’azienda, diminuire l’eccessivo debito e recuperare la flessibilità finanziaria necessaria per sostenere gli investimenti futuri.
  • Salvaguardia della sicurezza nazionale legata agli asset ‘sensibili’, mettendo sotto la supervisione pubblica tutte le attività maggiormente esposte ai cyber-risk; difesa del know-how e dei livelli occupazionali di Telecom, attraverso la protezione dell’azienda dal rischio ‘spezzatino’ con la vendita dei ‘gioielli di famiglia’, grazie ad un consolidamento della società con una prospettiva industriale futura.

L’idea di Beppe Grillo, c’è da dire, ha penalizzato il titolo Tim in Borsa, che ieri ha scontato anche il possibile piano alternativo di Vivendi che, anche in questo caso, chiede più Stato. (controllo della rete allo Stato). Mentre oggi il titolo sale, sulla scia della decisione del gruppo di tlc, con l’aiuto degli advisor finanziari, di mettersi al lavoro per esaminare la manifestazione di interesse arrivata dal fondo di private equity.

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