11:16 giovedì 9 Dicembre 2021

Europa, superato lo stress test del Covid si aprono prospettive di stabilità

Stabilità. Lo scenario futuro sull’Europa sembra avere chiaramente intrapreso questo rassicurante tipo di strada. Seppur tra le mille variabili delle sfide moderne, infatti, il Vecchio Continente è riuscito a fronteggiare lo stress test della pandemia al meglio e ora ha davanti a sé delle prospettive economiche interessanti per gli investitori. Ad affermarlo è l’European Secular Outlook di PIMCO.

Le basi per un futuro più stabile

Lo shock economico del COVID-19 e le crescenti preoccupazioni sul cambiamento climatico hanno favorito un migliore coordinamento tra i politici europei. Questo potrebbe aver ridotto i rischi di coda e posto le basi per una maggiore stabilità su un orizzonte secolare. Tuttavia, come il resto del mondo, l’Europa sarà probabilmente messa alla prova da un ambiente macroeconomico radicalmente diverso. Il decennio pre-pandemico della Nuova Normalità, caratterizzato da crescita inferiore ma stabile, inflazione al di sotto del target, volatilità contenuta e rendimenti corposi degli asset, sta rapidamente scivolando alle spalle. Quello che ci aspetta sembra essere una crescita più incerta e irregolare e un ambiente inflazionistico con molte insidie per le autorità politiche.

La svolta rispetto al pessato

Fortunatamente, l’Europa sembra meglio preparata che in passato. La BCE ha rafforzato il suo ruolo di prestatore di ultima istanza per il comparto sovrano dell’area euro, e il fondo Next Generation EU (NGEU) da 800 miliardi di euro ha infranto il tabù del finanziamento dei piani di ripresa nazionali attraverso l’emissione comune di obbligazioni. Il NGEU intende indirizzare gli investimenti pubblici e privati verso aree dell’economia che si prevede genereranno maggiori rendimenti in futuro, vale a dire i settori della green economy e del digitale. E nonostante le obbligazioni emesse dalla NGEU non siano eurobond in senso stretto, crediamo che rappresentino comunque un passo importante verso una maggiore coesione fiscale.

L’evoluzione del Vecchio Continente

Nel complesso, la ricerca prevede un’evoluzione piuttosto che una rivoluzione in Europa. Per esempio, la prospettiva di modificare il trattato sul funzionamento dell’UE continua a sembrare remota e le considerazioni politiche e di rischio morale continuano a giustificare un premio al rischio significativo. È importante, però, che nelle fasi di recessione economica, l’Europa sembri abbracciare una risposta politica più calibrata di quanto non abbia fatto nel 2008 e nel 2011 – quando i policymaker agirono con meno forza e con meno coordinamento all’indomani della crisi finanziaria globale. Come minimo, un migliore coordinamento dovrebbe aprire la prospettiva di un’area euro meno soggetta a crisi e più stabile in un orizzonte secolare. In effetti, il COVID ha costituito un massiccio stress test per la coesione dell’area euro. La risposta politica è stata molto più convincente che negli episodi precedenti, il che è di buon auspicio per gli asset di rischio.

La Germania dà il ritmo

Le politiche economiche del nuovo governo tedesco, che dovrebbe entrare in carica già il mese prossimo, daranno probabilmente il ritmo a tutta l’Europa e, implicitamente, alla BCE. Berlino con ogni probabilità perseguirà una posizione fiscale un po’ meno dogmatica ed opterà per investimenti che modernizzino il Paese e rafforzino la domanda interna. Tuttavia, difficilmente la Germania passerà da fiscalmente conservatrice a fiscalmente progressista. È probabile che la Germania mantenga il “debt brake”, la regola costituzionale istituita nel 2009 che limita il deficit strutturale del governo federale allo 0,35% del PIL. Tuttavia, è probabile che la più grande economia europea cerchi dei modi per modificare alcuni elementi del “debt brake” e opti per un’interpretazione un po’ più flessibile delle regole fiscali. Questo manderebbe un segnale al resto dell’Europa, in particolare per quanto riguarda le riforme delle norme del Patto di stabilità e crescita dell’UE, che limitano il deficit di bilancio di uno stato al 3% del PIL e il debito nazionale al 60% del PIL.

Gli altri seguiranno Berlino

Il resto dell’Europa seguirà probabilmente un approccio simile. un cambio di regime radicale nella riforma delle normative fiscali – un processo che è già iniziato e che non sarà concluso fino alla fine del 2022. Le riforme potranno tradursi in un maggiore margine di manovra, principalmente generato dal riconoscimento che il consolidamento fiscale a spese degli investimenti non è stata la strategia ottimale per raggiungere la sostenibilità del debito. Caso emblematico: la Commissione europea ha presentato il mese scorso un documento di discussione sulla riforma del patto di stabilità, che si è concentrato sui piani di rimborso del debito. Un’altra proposta del Meccanismo europeo di stabilità prevede un aumento del tetto massimo del debito dal 60% al 100% del PIL a causa del contesto di minore crescita, pur mantenendo il tetto del 3% del deficit. Nel complesso, i risultati si sono orientati verso una maggiore spesa; la probabilità che le misure fiscali giochino un ruolo maggiore nel mix complessivo delle politiche è aumentata, e la probabilità di una politica di austerity, in particolare di austerità prociclica durante le recessioni economiche, è diminuita. Ci sono anche sfide crescenti – disuguaglianza, digitalizzazione, clima – che potrebbero costringere i governi a spendere cifre maggiori.

Le sfide digital e green

Gran parte di questa spesa ruoterà probabilmente intorno al NGEU. Due delle principali riforme strutturali e priorità politiche del fondo riguardano il cambiamento climatico e la digitalizzazione. L’Europa ha già solide politiche sul cambiamento climatico, e probabilmente punterà a posizionarsi come leader globale. Il NGEU è stato istituito nel luglio 2020 come uno strumento temporaneo e una tantum per emettere debito che non è sostenuto da una garanzia in solido – quindi, i suoi titoli non costituiscono eurobond in senso stretto. Tuttavia, il fondo crea un precedente: manda un messaggio forte e rappresenterà, nel tempo, un catalizzatore per una più stretta integrazione fiscale e politica della zona euro, e dell’Europa continentale più in generale. Anche se crediamo che sia uno sviluppo inequivocabilmente positivo per l’Europa, tutto ciò non implica necessariamente una riduzione della necessità e degli sforzi per migliorare ulteriormente la struttura istituzionale, in particolare per quanto riguarda la zona euro.

L’incognita dell’inflazione

La spesa aggiuntiva alimenterà l’inflazione? L’incertezza è maggiore dato lo shock pandemico e le molte trasformazioni che entreranno in gioco nell’orizzonte secolare. Eppure, l’Europa è entrata nella pandemia con un’inflazione ben al di sotto dell’obiettivo di stabilità dei prezzi della BCE per un lungo periodo di tempo. Ha anche fornito meno sostegno economico rispetto agli Stati Uniti, per esempio, e la politica fiscale continuerà probabilmente ad essere più attiva negli Stati Uniti e nel Regno Unito che nell’area euro. Quindi, ci sembra meno probabile che, nel medio e lungo termine, l’Europa esca dalla pandemia con un problema di elevata inflazione.

Implicazioni per gli investimenti

Mentre le valutazioni di partenza offrono uno spazio limitato per la compressione degli spread e i rischi per le prospettive macroeconomiche rimangono elevati, un’area euro meno soggetta a crisi è di buon auspicio per gli asset di rischio in generale. L’analisi evidenzia un ottimismo diffuso sugli spread dei Paesi periferici, in particolare sull’Italia. Data la struttura istituzionale unica dell’area euro e le diverse condizioni macroeconomiche, i rendimenti della regione rimarranno relativamente meglio ancorati rispetto a quelli delle altre regioni, e siamo abbastanza neutrali per quanto riguarda l’esposizione complessiva alla duration. Infine, gli anaiisti continuano a privilegiare le posizioni europee con una curva dei rendimenti ripida, in quanto non si aspettano che la BCE sia in grado di alzare presto i tassi, mentre la divergenza della politica monetaria potrebbe rendere l’euro una valuta di finanziamento interessante nel medio termine.

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