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Mondo: Opec del gas, Italia fuori pericolo

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Nessun problema per l’Italia dall’Opec per il gas. A Doha, nel Qatar, dove si sono incontrati a Pasquetta quattordici tra i maggiori Paesi produttori di gas al mondo per dare vita al cartello energetico, è stata varata la nuova organizzazione, ma i tempi per la sua realizzazone saranno molto lunghi e, quindi, le conseguenze nel breve periodo saranno impalpabili soprattutto per l’Italia. Eppure il nostro è fra i Paesi che più importano: il gas acquistato all’estero copre circa il 92 per cento del fabbisogno, mentre i giacimenti nazionali ormai si stanno esaurendo. E allora perché non dobbiamo temere un aumento dei prezzi se si dovesse dar vita al nuovo cartello? Per comprenderlo occorre fare un passo indietro. Il gas arriva dai Paesi produttori a quelli consumatori in due modi. O attraverso i gasdotti, lunghissimi tubi, detti “pipeline”, che collegano due nazioni e che trasportano il metano allo stato gassoso. Oppure grazie ai rigassificatori: una nazione compra Gnl, cioè gas liquefatto, lo trasporta su navi e lo “trasforma” allo stato gassoso. Nel primo caso fornitore e cliente sono strettamente e fisicamente legati. E poiché gli investimenti per creare le pipeline sono piuttosto onerosi, sono necessari contratti pluridecennali di fornitura (15-20 anni), con revisioni dei prezzi diluite nel tempo. La cosa cambia quando si parla di Gnl: anche qui ci sono rigidità tecniche, come gli impianti di liquefazione all’export e di rigassificazione all’import, ma il mercato è molto più flessibile proprio per la mancanza dei “tubi”. E si moltiplica il numero di operatori con cui contrattare i prezzi. Qualora nascesse un’Opec del gas, dunque, ci potrebbero essere ripercussioni solo su un mercato basato sulla domanda e l’offerta come quello del Gnl, non certo su quello fondato sui tubi dove, come detto, i contratti di fornitura sono a lungo termine. L’Italia ha un solo impianto di rigassificazione, quello di Panigaglia dell’Eni, per il resto tutta la nostra importazione è basata sulle pipeline che ci collegano con Russia, Algeria, Libia e Nord Europa. Cartello del gas o no, dunque, per assistere a una variazione dei prezzi bisogna attendere almeno vent’anni. Il ministro per lo Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, spera di ottenere presto il via libera per almeno quattro dei dodici rigassificatori di cui il Paese avrebbe bisogno per rispondere alla crescente domanda di combustibile. Due hanno già superato l’iter delle autorizzazioni e sorgeranno a Livorno e sul delta del Po, mentre abbondano i progetti presentati dalle maggiori compagnie del settore (Edison, Solvay, Shell-Erg, Endesa e Falck) ma, per il momento, restano ancora in stand-by. Sulla difficoltà di costruire piattaforme in Italia è emblematico il caso del rigassificatore di Brindisi, ritenuto necessario dal governo, ultrasicuro da British Gas, ma osteggiato da enti locali e ambientalisti tanto che il progetto, iniziato nel 2003, ha di recente subìto un ulteriore stop di sei-nove mesi. È chiaro che laddove aumenta la richiesta di gas liquefatto aumenta proporzionalmente il timore legato a un cartello dei Paesi produttori. Tanto che di fronte a un Putin che definisce l’Opec del gas “un’idea interessante”, Washington ribadisce la sua contrarietà per bocca del segretario all’Energia, Samuel Bodman. L’Ue non fa mancare la sua voce tanto che già dopo l’accordo russo-algerino fra Gazprom e Sonatrach, i maggiori fornitori del Vecchio Continente, il commissario all’Energia, Andris Piebalgs, ha detto che c’è di che essere “nervosi”. Eppure il Gas exporting countries forum dovrebbe essere considerato per quello che è: il tentativo da parte di alcuni Paesi, Russia e Iran in testa, di mostrare i muscoli davanti agli importatori e dare credibilità a un settore destinato nel lungo periodo a superare il business del petrolio. Del resto i cartelli nascono a fini difensivi e non quando un settore è in piena espansione. Che l’energia sia la maggiore leva della politica estera di Mosca è cosa risaputa. E il gas è lo strumento principale nelle mani del Cremlino per consolidare il suo ruolo di grande potenza. Poi c’è Teheran che non perderà l’occasione di Doha per irretire gli Stati Uniti e accreditarsi agli occhi della comunità internazionale come secondo esportatore. E l’Italia? Sta a guardare, soprattutto le mosse del Qatar, da cui importeremo il gas per l’impianto al largo del delta del Po, e dell’Algeria che rappresenta un decimo delle nostre importazioni. I rapporti con Vladimir Putin, dopo lo sbarco in Russia di Eni ed Enel, per il momento sembrano al sicuro.
d. r.