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«MATERIE PRIME, NON E’ UNA VERA BOLLA. PER ORA…»

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Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Chi nel marzo 2000 ha avuto la fortuna di leggere il best seller di Robert Shiller e ha dato retta alla sua profezia sul crollo delle azioni della new economy, lo ringrazia ancora adesso. E soprattutto considera il docente di Yale un guru da ascoltare con attenzione. Oggi, i timori del professore riguardano soprattutto il mercato immobiliare. Ma anche sul boom delle commodity e i suoi effetti sulle Borse, la sua analisi merita di essere ascoltata.

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Professor Shiller, partiamo dal mercato azionario. Sono passati sei anni dal picco del Nasdaq a 5.050 punti. È un tempo sufficiente per digerire gli eccessi di quella bolla oppure no?
È difficile da dire. Non ho una visione chiara come quando scrissi Esuberanza Irrazionale. Dal 2003, i profitti aziendali sono saliti e il mercato ha reagito positivamente. Ma la mia impressione è che la risposta sia stata troppo favorevole.

Si può spiegare meglio?
Tuttora i multipli di Borsa rimangono elevati. Ciò è particolarmente evidente quando si considera il rapporto fra prezzi e utili come faccio io, ossia dividendo le quotazioni per una media pluriennale degli utili. La prego però di non fraintendermi, le valutazioni sono ben al di sotto degli eccessi a cui si era arrivati nel 2000.

Dal punto di vista di noi europei, Wall Street è rimbalzata poco dal minimo del 2002-2003. Infatti è vero che il Dow è salito del 40%, ma nel è arretrato del 25-30% il dollaro. Che ne pensa?
Questa è la ragione per cui io investo i miei denari più in Europa e nelle altre aree geografiche estere che in America. Invece di riprendere quota, il dollaro rischia una nuova scivolata. Perciò se fossi europeo, guarderei con un certo scetticismo agli asset denominati in dollari.

E delle materie prime cosa pensa?
Riconosco alcuni pre requisiti caratteristici di una bolla speculativa, ma non me la sento al momento di definirla una bolla a tutti gli effetti. Alla fine degli anni ’90 la tesi universalmente accettata era che la nuova tecnologia informatica avrebbe rivoluzionato il mondo e avrebbe conosciuto una fioritura senza precedenti. In effetti era così. Il problema emerse quando gli operatori finanziari reagirono eccessivamente a una tesi d’investimento corretta, spingendo le azioni all’inverosimile.
Le sembra di poter tirare un parallelo con quanto sta accadendo nei mercati delle commodity?
La tesi d’investimento c’è, ed esercita una forte seduzione. È una tesi ampiamente riconosciuta: la crescita vertiginosa della Cina e dell’India gonfiano la domanda a un livello che l’offerta ha difficoltà a riequilibrare. Un’analisi corretta come lo era quella sulle nuove tecnologie informatiche.

E la prognosi è ugualmente infausta?
Per ora posso solo dire che riconosco un ciclo di boom-scoppio, ma nutro diversi dubbi sul grado di avanzamento del modello. Forse ci saranno altre gambe rialziste prima che la tendenza sia definitivamente ribaltata.
Come negli anni ’70?
La comparazione non è fuori luogo. Allora si pensava che l’espansione della popolazione mondiale avrebbe esercitato una pressione insostenibile sulle risorse del pianeta. Oggi, il problema ruota attorno alla modernizzazione di una metà del mondo finora rimasta ai margini dello sviluppo internazionale. In fondo, il tipo di paura è abbastanza simile.

Alcuni sostengono che il rialzo delle commodity è inarrestabile, così come la sete di petrolio delle nazioni emergenti. Cosa c’è di sbagliato in questo ragionamento?
In astratto niente, in concreto dipende dalle azioni dei governi. Tenga pure a mente gli immani problemi ambientali, di surriscaldamento del pianeta legati a un uso massiccio dei combustibili classici. Alla fine bisognerà trovare una soluzione alternativa.

Quale?
Non la conosco, ma non ha importanza. Esiste un ventaglio di alternative. Per esempio una strada praticabile è il nucleare. Una decisione netta in tal senso è in grado di ribassare già da oggi il prezzo dei combustibili sebbene i risultati concreti si vedrebbero solo fra diversi anni. Il mercato è un grande meccanismo di anticipazione del futuro. È sufficiente indicare con serietà una strada alternativa per allentare la pressione.

Parliamo infine del settore immobiliare. Lei ha parlato esplicitamente di bolla, almeno con riferimento a certe aree metropolitane americane ed europee. Conferma?
Sì, lo confermo. Di fatto abbiamo sviluppato in cooperazione con il Chicago Mercantile Exchange un mercato future, partito lunedì 15 maggio, proprio relativo al prezzo degli immobili. Serve a consentire alle persone di coprirsi dai rischi inerenti le fluttuazioni immobiliari.
Quali sono le città più vulnerabili a una correzione dei valori degli immobili residenziali?
Qui in America, direi Boston, San Diego, Phoenix, Miami e Los Angeles. Le abitazioni pronte per la vendita si sono accumulate a un tasso preoccupante negli ultimi sei mesi. Ciò mi induce a pensare che il punto di svolta non dovrebbe essere lontano.

Quando lei pensa a una possibile correzione, di quale entità stiamo parlando?
Naturalmente dipende dalle zone. Voglio fornirle però qualche esempio: fra il 1989 e il 1997, il prezzo medio reale di una casa nella zona di Los Angeles è sceso di circa il 40 per cento. In modo simile, fra il 1991 e il 1998 a Parigi si è registrato un ripiegamento, al netto dell’inflazione, del 43 per cento. Ecco, non mi stupirei di vedere qualcosa di simile nelle zone maggiormente coinvolte dalle ultime ondate di acquisti.

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