Le banche centrali stanno riconsiderano le misure non convenzionali. La riduzione della liquidità potrebbe minacciare i mercati emergenti più dipendenti dal dollaro
Nel 2013 Ben Bernanke, allora alla guida della Federal Reserve, paventò la possibilità di ridurre il Quantitive easing, causando un brusco sell-off sui mercati emergenti (taper tantrum venne chiamato). Le economie più colpite furono quelle più dipendenti dalla liquidità del dollaro Usa. Oggi non solo la Fed ma anche altre banche centrali stanno riconsiderando le misure non convenzionali. Perfino in Cina la politica monetaria sta diventando più restrittiva, un tentativo delle autorità di Pechino di sgonfiare la bolla sul credito e sul settore immobiliare.
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Chi rischia di più
Il problema principale per i Paesi emergenti è l’esposizione in dollari. Il rischio è che il flusso di capitali che ha spinto i mercati emergenti possa invertirsi.
“Finora – commenta Craig Botham, Emerging markets economist di Schroders – gli asset emergenti hanno registrato scarse reazioni”. Ma il cammino di rialzo dei tassi e riduzione del bilancio da parte della Federal Reserve è appena iniziato. “Ci aspettiamo più rialzi dei tassi della Fed rispetto alle attese – riprende Botham. Si tratta di una situazione che si svilupperà meglio nel 2018, e che probabilmente metterà in difficoltà gli asset rischiosi”.
Nonostante le condizioni siano diverse rispetto a quelle del 2013, con miglioramenti nella maggior parte delle economie emergenti, la dipendenza dai finanziamenti esteri di breve termine per una serie di queste economie è ancora rilevante.
“Per un piccolo gruppo di Paesi è addirittura aumentata rispetto al 2013. Continuiamo a ritenere che Sudafrica, Turchia, Perù, Cile, Colombia e Malesia siano a rischio, sulla base di questa metrica” puntualizza l’economista di Schroders.
La dipendenza dai finanziamenti esteri dei Paesi emergenti
La crescita del credito
La forte crescita del credito potrebbe rappresentare un altro rischio se la liquidità globale dovesse diminuire. “Le Banche centrali dei Paesi emergenti potrebbero essere obbligate a irrigidire la politica monetaria per difendersi dall’impatto inflazionario dei movimenti dei cambi e per prevenire ingenti deflussi di capitale. Dopo la crisi, l’America Latina e i Mercati emergenti asiatici (anche escludendo la Cina) hanno visto un processo relativamente rapido di aumento della leva finanziaria nel settore privato, molto più contenuto nell’area Emea. Ciò aumenta le probabilità che affiorino problemi legati alla qualità del credito, soprattutto se i tassi proseguiranno al rialzo”.
Di solito quando la Fed alza i tassi le Banche centrali dei Paesi emergenti sono obbligate a fare lo stesso per evitare fughe di capitale e pericolose oscillazioni delle loro valute.
“Le fughe di capitale – prosegue Botham – sono più probabili per le economie che hanno un grande afflusso di portafogli. In questo ambito Cina e India sono meno esposte agli umori degli investitori grazie ai controlli sul capitale, mentre nei mercati liquidi come Sudafrica, Messico e Corea contano per una quota significativa del Pil. Se i capitali dovessero tornare negli Stati Uniti con la normalizzazione dei tassi, l’impatto sul rand sudafricano, sul peso messicano e sul won coreano dovrebbe essere maggiore che sul renminbi, sulla rupia e sul rublo. In conclusione, visto che ci aspettiamo che l’espansione dei bilanci della Banca Centrale nel complesso continui quest’anno, e che la riduzione del bilancio della Fed non è prevista prima di settembre, le condizioni della liquidità globale non dovrebbero minacciare tutti i Mercati emergenti quest’anno. Tuttavia, dato che ci aspettiamo che la Fed sorprenda il mercato con un atteggiamento più aggressivo di innalzamento dei tassi, vediamo una serie di rischi all’orizzonte per il 2018, soprattutto per i Mercati emergenti più esposti. Il Sudafrica e la Turchia, insieme ad alcuni Paesi dell’America Latina, sembrano vulnerabili”.
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