Economia

L’ITALIA DI DRAGHI: UN PAESE NORMALE, CON TANTI PROBLEMI

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– Roma, 31 mag – “E’ del poeta il fin la meraviglia.” Così diceva Giambattista Marino. Del poeta, appunto. Ma, deve essersi detto Mario Draghi, non dell’economista. Né, tanto meno, del Governatore della Banca d’Italia. A differenza del celeberrimo letterato napoletano, principe della poesia barocca, Draghi non si è dunque proposto di stupire nessuno. Nelle Considerazioni finali della Relazione relativa all’esercizio 2006 da lui svolte stamani a Roma, Draghi ha dunque, innanzitutto, asciugato al massimo la sua prosa. Guerra spietata agli avverbi e agli aggettivi, e anche pochissime cifre. Il ricorso all’inglese contenuto a cinque o sei espressioni. Una sola parola difficile, “nozionale”, che li per li può sembrare al lettore un refuso. Ma poi si capisce che, essendo riferita agli “strumenti derivati” (pag. 6), non è stata messa, per errore, al posto di “nazionale”, ma serve a parlare del valore di questi strumenti finanziari. Questa secchezza formale corrisponde appieno, peraltro, a una compattezza del ragionamento e, soprattutto, a una scelta precisa degli ambiti entro cui esercitare la propria riflessione. In questa sua seconda prova da Governatore della Banca d’Italia, Draghi non ha compiuto nessuna particolare incursione in campo politico, né ha cercato di suscitare in modo improprio alcun particolare interesse mediatico. Al contrario, ha fatto il Governatore. Delle venti pagine e mezzo delle sue Considerazioni finali, quasi un terzo sono dedicate a finanza e banche. Nelle altre, Draghi conduce una serrata analisi dei fenomeni in corso nell’economia reale, anno su anno.
Una sintesi della sintesi? “L’economia mondiale è cresciuta nel 2006 del 5,4 per cento, il ritmo più alto da oltre trent’anni” (pag. 5). Dalla metà del 2005, anche “l’economia italiana è in ripresa”, ma con un ritmo più contenuto. Nel 2006, la crescita, da noi, “ha sfiorato il 2 per cento” (pag. 8). Quali sono gli aspetti più positivi della nostra economia? Primo: “l’occupazione è notevolmente cresciuta”, anche se “ancora in larga misura” nelle “posizioni dipendenti temporanee”. Secondo: è in atto una qualche positiva ristrutturazione del nostro sistema produttivo. Terzo: parlando di finanza pubblica, Draghi stima che, nel 2007, l’avanzo primario “salirà al 2,6 per cento”. Cosa c’è che ancora non va? Primo: “l’economia italiana si espande a un ritmo che resta fra i più bassi dell’area dell’euro”. Secondo: il numero degli occupati rimane troppo basso sul totale della popolazione in età lavorativa. Terzo: il debito pubblico è ancora troppo alto (27mila euro per ogni cittadino). Inoltre, siamo ancora un paese troppo arretrato per ciò che riguarda istruzione e infrastrutture. Non solo, siamo un paese la cui popolazione sta invecchiando in misura significativa. Infatti, “nel 2005 vi erano 42 ultrasessantenni per ogni 100 cittadini in età da lavoro. Ve ne saranno 53 nel 2020, 83 nel 2040”. E queste tendenze “si rifletteranno sulla spesa per le pensioni, la sanità, l’assistenza” (pag. 13). Morale della favola. L’imposizione fiscale è già fra le più alte dei paesi concorrenti. Non potendo accrescere in modo significativo le entrate, l’unica via per ridurre il debito pubblico è quella di ridurre le uscite. “A noi la scelta – dice Draghi – se abbattere il peso del debito nei prossimi dieci anni, prima dell’accentuarsi dell’invecchiamento, o aspettare”. Accettando però, in questo secondo caso, “profondi cambiamenti nel sostegno che la società sarà in grado dì assicurare ai più deboli”. Insomma, una prosa tranquilla che ci parla di problemi non insolubili, ma certamente gravi. Al di là delle propensioni culturali filobritanniche che gli vengono attribuite, Draghi ha scelto di stare fuori dalle mille risse che, da noi, sono perennemente in corso e di fare una relazione da capo della Banca centrale di un paese normale. Nella speranza che questo atteggiamento sia quello più utile per dare una mano a risolvere almeno qualcuno dei nostri tanti problemi.