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Investimenti Esg, la corsa è solo agli inizi

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L’articolo è tratto dal magazine Wall Street Italia di giugno e fa parte del lungo dossier dedicato alla sostenibilità.

di Nicola Ronchetti

Il tema della sostenibilità e della responsabilità sociale è divenuto di grande attualità alla luce delle catastrofi naturali e degli scandali societari (Parmalat, Lehman Brother solo per citarne due) i cui effetti devastanti sono divenuti evidenti anche agli osservatori più distratti e scettici: i danni al pianeta e alla economia reale impongono un rapido cambio di rotta.
La risposta dell’industria del risparmio gestito non si è fatta attendere: Impact Investing, fondi Sri e Esg sembrano finalmente divenuti oggi il nuovo mantra per tutte le principali società di gestione del risparmio e per i distributori (banche e reti di consulenti finanziari).

Il vero punto di domanda è come e se questa nuova filosofia di investimento possa trovare terreno fertile anche presso chi la propone direttamente (consulenti finanziari, private banker, e gestori bancari) e soprattutto con l’investitore finale, individuandone i punti di forza da enfatizzare e le eventuali barriere da superare.
Assogestioni ha commissionato a Finer la prima ricerca mai realizzata che ha coinvolto allo stesso tempo e domanda (investitori finali) e offerta (consulenti finanziari, private banker, bancari e gestori) su questo tema di grande attualità che sembra ridisegnare l’offerta dell’industria della gestione del risparmio in Italia e non solo.

La ricerca che ha coinvolto 1.700 individui:
1.000 investitori finali: segmentati per tipologia ed entità degli investimenti finanziari, 200 mass market (con investimenti finanziari da 10mila euro a meno di 50mila), 200 affluent (dai 50mila euro ai 200mila), 300 upper affluent (200-500mila euro), 200 private (da 500mila euro a 1 milione) e 100 Hnwi (oltre 1 milone di euro);
600 professionisti: consulenti finanziari (200), private banker (200) e operatori bancari (200), delle più importanti reti, banche specializzate ed universali nazionali ed internazionali;
80 fund selector: responsabili della gestione di fondi di fondi (gestioni in delega e sub-advisory), che operano in realtà nazionali ed internazionali, reti di consulenti, banche specializzate ed universali;
20 gestori: selezionati tra coloro che operano in grandi gruppi bancari, indipendenti, realtà nazionali e internazionali, operatori specializzati prevalentemente in prodotti attivi e/o passivi (approccio proposto: colloqui individuali).

Dalla ricerca emergono alcuni risultati (clicca qui per leggere il documento) molto interessanti e per nulla scontati. Innanzitutto l’Italia appare come un Paese per gli investimenti sostenibili, responsabili e inclusivi: la sensibilità è elevata e in crescita, anche se ad oggi prevalentemente circoscritta ai segmenti di clientela con maggiori disponibilità finanziarie, visione e istruzione, presto potrebbe diventare criterio decisivo nella scelta della banca o della Sgr per tutti e quindi fattore competitivo determinante per l’industria.
La sensibilità su questi temi si basa per lo più su una conoscenza generica soprattutto associata ai cambiamenti climatici e alle crisi che hanno caratterizzato le società che non hanno rispettato questi criteri, sviluppata più a livello individuale che su spinta dell’industria: vi è dunque un grande potenziale di crescita e di affermazione.

Emerge un punto di attenzione molto rilevante: le sigle Esg e Sri sono quasi del tutto sconosciute e gli investimenti a loro associati sono per i più erroneamente assimilati a investimenti «no profit».
Come se non bastasse le barriere alla sottoscrizione oltre alla scarsa conoscenza sono soprattutto dovuti all’associazione di questo tipo di investimenti a rendimenti minori o – come detto – al «no profit». Il tema dell’informazione su questo tipo di investimenti è centrale: sia per ammissione degli investitori finali che dei distributori (banche e reti) e dei gestori (Sgr) che hanno – a loro volta – la grande opportunità di farsi ambasciatori in un momento in cui l’industria sta cavalcando il trend.
Per chi invece è più edotto e già propenso, i driver per questi investimenti sono sia di natura generale – la sopravvivenza del globo, il futuro dell’umanità – ma anche finanziari e logici – maggior affidabilità, stabilità dei rendimenti, riduzione del rischio e solidità delle aziende che sposano questi criteri -, partire dai primi per lavorare sui secondi è certamente la ricetta vincente per l’industria.
Il terreno dunque appare fertile per una crescita di questi investimenti purché l’industria sappia promuoverne la cultura e i singoli operatori (Sgr, banche e reti) differenziarsi tra loro per favorire una sana competizione sulla qualità dei prodotti.

 

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