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Imu, ma non solo: meglio affittare che acquistare casa

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Roma – Come per tutte le medie vale la famosa avvertenza di Trilussa ma in generale l’Imu è, di fatto, un prelievo patrimoniale che incide tra lo zero (per le case di scarso pregio catastale) e lo 0,2% quando si tratta dell’abitazione principale del contribuente e tra lo 0,4 e lo 0,6% per gli alloggi per cui non si possa godere dell’aliquota agevolata.

Meno commisurabile è l’impatto psicologico che sul mercato ha avuto l’introduzione dell’imposta, ma certo sta contribuendo non poco a deprimere un mercato delle compravendite che, se ci basiamo sui dati ufficiali relativi ai primi nove mesi dell’anno, chiuderà il 2012 con un calo superiore al 20%.

Ma non c’è solo l’Imu a lasciare dubbi sull’opportunità, in questa fase, di effettuare un investimento nel mattone; ci sono almeno due altri fattori a consigliare prudenza. Il primo è che le prospettive a breve del mercato immobiliare sono tutt’altro che buone. Nelle previsioni degli operatori del settore non c’è infatti nemmeno una indicazione di stabilità o men che meno di ripresa dei prezzi.

Il secondo fattore è la concorrenza dei titoli di Stato, che garantiscono nel medio periodo rendimenti appetibili e una facilità di disinvestimento incomparabilmente maggiore rispetto all’immobile.

Abbiamo ipotizzato quattro diverse situazioni di acquisto del medesimo immobile e ne abbiamo valutato la convenienza rispetto all’affitto e all’investimento obbligazionario.

La casa che abbiamo considerato è in una buona zona residenziale di Milano o di Roma, costa 280 mila euro o potrebbe venire affittata a 800 euro al mese. Con l’avvertenza che, come sempre quando si fanno confronti di questo genere, stiamo esaminando casi di scuola. Vediamo che cosa ne emerge. Tutti i confronti sono effettuati sull’arco di otto anni, la durata prevista dalla legge per le locazioni residenziali a canone libero.

IN CONTANTI

Per una casa da 280 mila euro vanno messe in conto ulteriori spese per 5 mila euro (imposte agevolate più notaio). Il valore dell’investimento va quindi computato in 285 mila euro. Il costo reale dell’acquirente è dato dagli interessi sulla somma che vengono persi negli otto anni (per tutti e quattro i casi li abbiamo considerati pari al 25% complessivo della spesa), più le spese di manutenzione straordinaria dell’immobile, che invece l’investitore non pagherebbe se andasse in affitto.

Le spese condominiali ordinarie e la tassa sui rifiuti non sono rilevanti perché si pagherebbero anche da inquilini. In questo caso dopo otto anni l’acquirente otterrebbe un vantaggio se riuscisse a rivendere la casa ad almeno 284 mila euro. In pratica gli basterebbe non perdere sul valore iniziale dell’immobile.

CON IL MUTUO

Nella seconda ipotesi il potenziale acquirente deve ricorrere al mutuo; abbiamo ipotizzato che la somma finanziata sia pari alla metà del prezzo e che il prestito sia effettuato a tasso variabile, con un tasso medio di periodo al 4%. La somma pagata in contanti è di 147 mila euro (7 mila le spese per tasso e notaio, considerando gli oneri per il finanziamento ipotecario) e ovviamente su questa cifra va calcolato il mancato introito da interessi dei Btp.

Considerando che dopo 8 anni il proprietario sarà ancora indebitato per quasi 97 mila euro, la rivendita per risultare remunerativa dovrà avvenire ad almeno 317 mila euro. In pratica la casa dovrà rivalutarsi del 15% in otto anni, e già così la redditività dell’affare è assai meno sicura. Va però detto che il mutuo può essere parzialmente dedotto dalle imposte sui redditi; non abbiamo inserito il dato nel calcolo (ai valori attuali il vantaggio fiscale sarebbe di circa 6 mila euro) nell’incertezza su che cosa sarà l’anno prossimo sulle deduzioni fiscali.

PER INVESTIMENTO

Il discorso dal punto di vista finanziario non cambia molto se si considera l’ipotesi di acquistare in contanti e poi affittare l’immobile. Le spese iniziali sono più elevate (se non si pagano le imposte di trasferimento agevolate per imposte e notaio bisogna mettere in conto almeno 15 mila euro) e sui canoni incassati bisogna calcolare l’incidenza dell’Imu e la cosiddetta «cedolare secca» che si porta via il 21% dei proventi. In teoria basterebbe che la casa si rivalutasse del 2% all’anno per andare in pari. Nella pratica bisognerebbe trovare un inquilino affidabile che paghi per tutti gli otto anno e che poi lasci libero l’appartamento senza problemi. Le cronache dicono che le cose non sempre funzionano così. Non abbiamo considerato l’ipotesi che chi compra accenda anche un mutuo perché succede di rado sul mercato, il trattamento fiscale del prestito è molto più oneroso e le possibilità di ottenere il finanziamento minori.

L’ACQUISTO FINE A SE STESSO

Infine un’ipotesi che oggi è davvero da considerare teorica: comprare una casa da tenere semplicemente a disposizione sperando nel capital gain di medio periodo. In questo caso pagando quindi tutte le spese anche ordinarie di gestione e l’Imu al massimo delle aliquote, e inoltre bisogna mettere in conto il mancato introito delle cedole semestrali dei Btp. Si tratta di un’operazione che oggi si può considerare ad alto rischio, perché la casa in questione dovrebbe rivalutarsi nel giro di otto anni di almeno il 42%. È una performance che nelle fasi di crescita del mercato si è registrata ma che oggi ha più che altro ha il sapore di una scommessa.

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Corriere della Sera – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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