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Il petrolio e il grande bluff

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New York – Riveste ancora un ruolo strategico ed economico, in particolare in Medio Oriente. Ma ormai la sua centralità è stata confessata. “Il petrolio è un prodotto simile a qualsiasi altro“. Questa volta a tracciare un quadro sull’oro nero è stato John Quiggin, professore di economia presso l’università di Queensland. Per l’esperto non bisognerà più combattere alcuna guerra per i suoi pozzi, anche se lo spauracchio che possa raggiungere nuovi picchi potrebbe rovinare ancora oggi molte economie.

La sua analisi si basa su numeri chiari. Primo fra tutti l’assunto che gli Stati Uniti utilizzano circa 19 milioni di barili al giorno, di cui circa 11 milioni sono importati. “Quelli provenienti dal Golfo Persico sono pari a circa il 15 per cento della domanda totale di greggio da parte dell’America”, osserva nella sua analisi. “Si tratta di una quota che è diminuita via via nel corso del tempo. Se il prezzo raggiungesse i 100 dollari per barile, la spesa complessiva sarebbe di circa 700 miliardi di dollari l’anno, pari al 4% del Pil”.

Un dato che è di gran lunga inferiore rispetto alla spesa per l’assistenza sanitaria. Ma ancora. Il petrolio è diventato sempre meno importante come fonte di energia negli ultimi anni. “Il consumo di petrolio sotto forma di benzina in America ha raggiunto il picco nel 2005, ben prima della recessione, e la ripresa economica non ha prodotto un rimbalzo”, riprende Quiggin. “Anzi, il consumo di greggio pro capite risulta in calo dal 1980. Quindi almeno per quanto riguarda gli Stati Uniti il picco di petrolio appartiene ormai al passato, non al futuro”.

Avere il controllo sulle esportazioniè ancora un’arma potente nelle mani degli Stati Opec, cartello internazionale tra produttori, in quanto uno shock sulla fornitura potrebbe causare una crisi economica. Ma la validità di tutto questo potrebbe avere gli anni contati.