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IL GURU CHE PREDICA BENE E GESTISCE MALE

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Stephen Covey e’ un eroe per molta gente, uno dei guru piu’ famosi nel settore del management, avendo insegnato a chi ha letto i suoi testi come migliorare la vita privata e il lavoro. Il suo libro-manifesto, The 7 Habits of Highly Effectuve People, ha venduto 13 milioni di copie in dieci anni, cioe’ da quando fu pubblicato per la prima volta nel 1989.

Il successo e’ stato tale che verso la meta’ degli anni ottanta Covey aveva trasformato gli i principi base di 7 Habits – molto buon senso da self-help all’americana – in un impero da 100 milioni di dollari (180 miliardi di lire), fondato su seminari, corsi, video-cassette e contratti di consulenza per 82 delle prime 100 aziende degli Stati Uniti.

Covey, 66 anni, e’ un uomo ambizioso. Cosi’, non
contento del successo, nel 1997 decise di fare un ulteriore passo avanti, unendo le forze con un altro guru americano del management, Hyrum Smith, padre del Franklin Day Planner e autore, per parte sua, di un altro best seller del settore, The 10 Natural Laws of Successful Time and Life Management. I due santoni posero le basi per una mega-operazione impostata sulle rispettive filosofie.Il classico: dalla teoria alla pratica. ”Intendiamo applicare il nostro expertise alla fusione delle nostre due societa”, disse Covey al momento della firma dell’affare,”l’obbiettivo e’ creare un modello di merger per il mondo aziendale”.

Col senno di poi, l’impresa e’ un modello
ovviamente non disprezzabile, ma non e’ certo
quello che Covey aveva in mente. Una burocrazia ingolfata, scarsa pianificazione, lotte di potere e gelosie tra due culture aziendali invece di sinergie – cioe’ tutto il contrario di cio’ che era predicato nei libri – hanno fatto rapidamente diventare Franklin Covey Co. (questo il nome dell’azienda) un altarino innalzato a tutte le aziende altamente inefficienti. Al punto che lo scorso 12 ottobre l’azienda dei due guru ha annunciato che nell’anno fiscale 1999 gli utili operativi sono crollati del 94%, a 4,4 milioni di dollari, su un fatturato in crescita di appena il 2%, a 555 milioni di dollari. E’ stato annunciato anche il licenziamento del 14% dei dipendenti, 600 persone su 4.200, piu’ la totale ristrutturazione della forza vendita e l’outsorcing affidato terzi di molte funzioni manageriali.

L’umiliante ritirata ha messo in luce che la
societa’ non ha seguito nessuna delle regole d’oro contenute in 7 Habits che avevano reso famoso Covey. E simbolicamente, i due teorici del management a un certo punto sono stati costretti a gettare la spugna, rispetto all’impegno attivo al vertice dell’azienda. Poche settimane fa il consiglio di amministrazione della Franklin Covey ha nominato chairman Robert Whitman, 46 anni, un finanziere di Dallas che ha sborsato 75 milioni di dollari per acquistare un pacchetto azionario del 20%. Smith e Covey sono stati declassati a vice-presidenti non esecutivi. Rimangono tra i maggiori azionisti della societa’, ma hanno accettato di mettersi in disparte e di impegnarsi solo sul fronte di cio’ che sanno veramente fare: scrivere libri e tenere seminari. ”Sono venditori, molto piu’ di quanto siano manager”, ha commentato Donald Yachtman, di Chicago, che con un suo fondo d’investimento e’ il maggior azionista esterno con una quota del 16%.

Del fallimento delle teste piu’ lucide del management Usa si e’ accorta, naturalmente, anche Wall Street. Il titolo Franklin Covey e’ crollato da un massimo di 25 dollari l’anno scorso a circa 8 dollari oggi. Un voto davvero pesante, da parte della borsa. Che conferma quanto diversa sia l’attivita’ accademica, di uno scrittore, rispetto alla dura realta’ competitiva e di colpi bassi con cui ha a che fare un manager. Un vantaggio Covey riuscira’ a ricavarlo: l’anno prossimo uscira’ il suo ultimo libro, dedicato alle merger aziendali che non funzionano.