Economia

I BOSCHI DI STATO SONO PIU’ ESPOSTI AL PERICOLO

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(9Colonne) – Roma, 5 set – I recenti incendi boschivi in Italia “sono un evento preoccupante, ma non catastrofico”. Lo scrive – sul sito lavoce.info – l’economista Davide Pettenella, docente di estimo forestale all’Università di Padova. Ben peggio è andata questa estate in Grecia, dove ci sono state più di cinquanta vittime, nel 2005 in Francia e Spagna, nel 1998 – definito dalla Fao “the year the earth caught fire” – in Indonesia, Russia e Rondonia (Brasile), rispettivamente con 9,7, 7,1 e 39 milioni di ettari bruciati. Nel 2003 in Portogallo è bruciato circa il 10 per cento del patrimonio boschivo nazionale: la stessa percentuale in Italia significherebbe circa un milione di ettari, invece dei 20-25mila ettari bruciati in ciascuno degli ultimi cinque anni (54mila ettari nei primi otto mesi del 2007). Anche in Italia, nota Pettenella, il fenomeno è comunque probabilmente destinato a diventare sempre più grave, con costi crescenti per la collettività sia in termini di prevenzione e controllo che soprattutto di danno ambientale. D’altra parte alla fine degli anni Cinquanta la superficie forestale italiana non raggiungeva i 5 milioni di ettari, mentre in base ai dati recenti del secondo Inventario forestale nazionale ha superato i 10 milioni di ettari. Pettenella ritiene che gli incendi siano anche frutto della perdita di interesse economico da parte dei proprietari alla gestione dei boschi e si interroga sul ruolo che dovrebbe competere allo Stato. “Per centocinquanta anni – osserva – la politica forestale italiana si è basata sull’idea di uno Stato “forte”, posto a difesa dei boschi, contro una popolazione rurale affamata di terreni da coltivare e pascolare. Uno Stato che con strumenti di comando e controllo (il 98 per cento dei boschi italiani è sottoposto a vincolo idrogeologico) e senza forme di compensazione, ha cercato di tutelare i servizi pubblici offerti dalle foreste: protezione idraulica, tutela della biodiversità e del paesaggio, regolazione del ciclo dell’acqua, fissazione di carbonio atmosferico, consentendo solo limitate e regolamentate attività di prelievo di legname”. Con il risultato che “per tutelare le funzioni pubbliche, di fatto si incentiva l’abbandono gestionale, con effetti negativi nella stabilità e struttura dei boschi”. “In Italia il 40 per cento del patrimonio forestale è di proprietà pubblica, senza alcuna significativa forma di concessione in gestione a privati; il settore pubblico impiega circa 70mila operai forestali, un fenomeno che va molto al di là di quello dei 10mila operai forestali a tempo indeterminato calabresi; il settore pubblico gestisce e controlla aziende faunistiche e venatorie, segherie, decine di piccoli vivai, imprese di sistemazione idraulico-montana, centri di educazione ambientale, centri di formazione tecnica, perfino un sistema di certificazione volontaria. Sono tutte attività di rilevanza non strategica e che in altri paesi sono di norma trasferite al settore privato. È evidente – conclude l’economista padovano – che il fenomeno degli incendi si presta bene a essere strumentalmente utilizzato in logiche di rafforzamento delle istituzioni: più incendi significano più mezzi aerei, più centraline per il monitoraggio, più uomini e servizi anti-incendio a terra, più strumenti di inventariazione dei danni e di repressione. In altri termini, significano un apparato pubblico più ampio e costoso”. Conclusione: “In molti paesi europei la gestione delle foreste statali, anche se affidata a imprese concessionarie a parziale controllo pubblico come avviene in Austria, Germania, Irlanda e Regno Unito, è una fonte di entrate per lo Stato, un’ipotesi che in Italia non è neanche un miraggio, visto il pesante carico di manodopera che grava su ogni gestore pubblico. Forse, l’annus horribilis degli incendi potrebbe essere l’occasione per avviare una più ampia riflessione sul futuro della politica forestale in Italia”.