Economia

Grecia, terzo salvataggio: se esce dall’euro sarà peggio dell’Argentina

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Londra – Hanno il sapore del deja vù le trattative serrate di queste ore sulle sponde dell’Egeo. Anche se la Germania ha detto no a un nuovo taglio del debito pubblico, il caso Grecia è in movimento. Il settimanale tedesco “Der Spiegel” ha rilanciato l’ipotesi che la troika composta dalla Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale avrebbe proposto un nuovo taglio del debito di Atene che così, per la prima volta, infliggerebbe perdite ai contribuenti europei perché costringerebbe gli Stati creditori a rinunciare a recuperare gran parte dei loro contributi.

Berlino si è subito affrettata a negare, ma è nelle parole del portavoce del presidente della Commissione europea Olli Rehn, Simon O’ Connor, che prende quota l’ipotesi del nuovo salvataggio del Paese: pur ribadendo di non poter entrare nel merito degli aspetti specifici del negoziato e di non confermare l’ipotesi circolata nelle ultime ore a Bruxelles su un possibile Eurogruppo l’8 novembre, ha ammesso che qualcosa è nell’aria. Il punto come osservato dagli economisti di Nomura è solo uno: se i creditori ufficiali non dovessero riuscire a risolvere la questione legata al debito della Grecia, una sua uscita dall’area euro comporterebbe l’introduzione della dracma.

E le cose potrebbero mettersi ancora peggio di quanto accaduto in Argentina dieci anni fa. Il motivo? La nuova dracma sarebbe deprezzata intorno al 55-60 per cento. “Solo l’Argentina nel 2002 e l’Indonesia nel 1997 – riprendono gli esperti della banca giapponese – si ritrovarono in una situazione peggiore, con le rispettive valute deprezzate ancora di più intorno al 64% e al 67%”. Ma qui c’è più di un motivo per essere allarmati.

“Nel caso greco le variabili da osservare si chiamano perdita di competitività a causa della sopravvalutazione dell’euro, basse riserve di valuta estera e scarsa efficienza del governo”. In altre parole la combinazione di questi fattori suggerisce che una sua uscita dalla zona euro produrrebbe un deprezzamento della sua moneta sostanzialmente alla pari con le peggiori esperienze del campione storico. Ma risalire la china, questa volta, potrebbe essere più complicato a causa del difficile scenario economico globale.

I greci sono nel frattempo tornati a chiedere i risarcimenti per l’invasione nazista. Nell’aprile 1941 le truppe tedesche del III Reich invasero la Grecia. Iniziava così un’occupazione durata quattro anni, combattuta da una durissima resistenza. Manolis Glezos fu uno dei protagonisti di quella lotta conquistando la ribalta quando in un’audace raid nel cuore della notte trafugò la bandiera nazista che sventolava sull’Acropoli di Atene, il giorno dopo la caduta della capitale greca.Oggi è un deputato della sinistra che da decenni si mobilita per chiedere il pagamento dei danni di guerra alla Germania che per finanziare la guerra saccheggiò l’economia ellenica, devastandone l’infrastruttura industriale.

Quella delle riparazioni belliche non è una novità ma prende oggi nuovo slancio sulla scorta della drammatica situazione finanziaria del paese e della crescente ostilità antitedesca.Recentemente il ministero delle Finanze ha organizzato una commissione per riesaminare la questione.

Ma la Germania, che nel 1961 ha versato 115 milioni di marchi ad Atene, ricorda i pagamenti concordati all’interno di accordi bilaterali nei decenni passati che avrebbero risolto definitivamente la controversia.Ma Hagen Fleischer, esperto tedesco da tempo consigliere del governo greco in materia di riparazioni, segnala l’esistenza di un debito forzoso di circa 9 miliardi dollari al cambio attuale, ancora non rimborsato, che non ha niente a che fare con i danni di guerra.”

E’un regolare prestito concesso dalla banca di Grecia allo Stato tedesco e le autorità naziste firmarono le obbligazioni per il rimborso. Si tratta di un credito ancora aperto”.La questione è delicata. La Grecia ha le spalle al muro perché dipende dalla buona volontà dei dirigenti di Berlino. E sollevare la questione di un passato che la Germania vuole lasciarsi alle spalle potrebbe avere conseguenze imprevedibili.