(Teleborsa) – Pieno appoggio a Google e richiesta di apertura di un tavolo di lavoro sul tema delle regole e della tutela della libertà del Web: questa la posizione di Assintel, l’Associazione nazionale delle imprese ICT di Confcommercio, sulla sentenza di ieri che condanna Google per non aver bloccato nel 2006 la pubblicazione di un video offensivo contro un minore autistico. Quello che è insorto è il mondo del Web, ma non solo. Anche gli USA commentano con preoccupazione il significato di una sentenza – prima al mondo nel suo genere – che risuona come il rumore di un lucchetto che si chiude sulla libertà di espressione, che è l’anima della rete. “La sentenza è un forte campanello d’allarme”, commenta Giorgio Rapari, Presidente di Assintel, “perchè si inserisce in un trend in cui la politica e gli apparati giudiziari cercano di ricondurre la “novità” del Web dentro la cornice normativa esistente, senza averne compreso la natura. Siamo di fronte ad uno storico ed irreversibile cambiamento di paradigma, umano e sociale prima ancora che tecnologico, per il quale dobbiamo elaborare un nuovo approccio di inclusione, e non di limitazione”. Ma sottotraccia c’è anche il nodo del controllo dell’informazione, con continue proposte di legge che tentano di forzare il web sotto le regole dell’off-line, dalla proposta Carlucci dello scorso anno al decreto Romani oggi. Proposte che erodono il principio di libertà del web attraverso un controllo sui fornitori di servizi e tecnologie ICT, legandoli ad obblighi coercitivi o di controllo preventivo. “Non è pensabile confondere o addirittura sovrapporre due temi tanto diversi sotto la bandiera della retorica”, continua Rapari. “Una cosa è l’esistenza di una piattaforma neutra, quale internet è, in cui sia tutelata l’assoluta libertà dei singoli di pubblicare i loro pensieri, ma in piena responsabilità individuale: qui la libertà individuale è di tipo negativo, arriva fin dove non lede il rispetto di terzi, e può essere sanzionata con le norme che già esistono; altra cosa è prevedere un controllo a monte dell’informazione da parte della piattaforma stessa, tentando di vincolare gli operatori tecnologici a controllare quanto i singoli pubblicano: questa, comunque la si voglia chiamare, sarebbe censura”.
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