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G7: le linee guida per le monete digitali delle banche centrali

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I ministri delle Finanze dei Paesi del G7, riuniti a Washington, hanno concordato 13 punti sul futuro sviluppo delle monete digitali delle banche centrali (Cbdc).

Questi prodotti, considerati non già come criptovalute o monete parallele, ma come una “versione digitale del contante” sono parte della risposta pubblica che seguirebbe alla possibile utilizzo di massa dei token di pagamento dal valore stabile (o stablecoin).

L’utilizzo delle valute digitali al posto delle monete ufficiali, limiterebbe, fra le altre cose gli effetti della politica monetaria e metterebbe a rischio i consumatori, era già stato evidenziato da varie istituzioni come la Bce e il Fmi.

“L’innovazione nella moneta digitale e nei pagamenti ha il potenziale per portare benefici significativi, ma solleva anche notevoli questioni di politica pubblica e di regolamentazione“, hanno detto i ministri delle finanze e i banchieri centrali del Gruppo dei Sette in una dichiarazione congiunta, “un forte coordinamento internazionale e la cooperazione su queste questioni aiuta a garantire che l’innovazione del settore pubblico e privato fornirà benefici nazionali e transfrontalieri, pur essendo sicuro per gli utenti e il sistema finanziario più ampio”.

Per il momento nessun Paese del G7 ha ancora lanciato una Cbdc, anche se la Cina (che non fa parte di questo gruppo) sarebbe prossima a concludere la sperimentazione del suo yuan digitale.
Offrire una moneta digitale ai consumatori, direttamente garantita dalla banca centrale, pone anch’essa delle sfide: potrebbe, ad esempio, diventare un’alternativa a rischio zero al conto corrente bancario – che attualmente non rende nulla. Ciò sottrarrebbe risorse al credito e minerebbe la stabilità finanziaria.

“Riaffermiamo che qualsiasi Cbdc dovrebbe essere fondata sui nostri impegni pubblici di lunga data per la trasparenza, lo stato di diritto e la sana governance economica”, si legge nella dichiarazione. “Qualsiasi Cbdc” inoltre, “deve sostenere, e ‘non fare danni‘ alla capacità delle banche centrali di adempiere ai loro mandati di stabilità monetaria e finanziaria”.