Società

FonSai: in ogni caso a perderci saranno i piccoli azionisti

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Roma – Il gigante dai piedi d’argilla FonSai, nato dalle ceneri di Tangentopoli e poi affondato nei debiti, sara’ con ogni probabilita’ salvato dal cavaliere bianco Unipol. Tutto bene dunque? Non proprio, o per lo meno non per tutti.

Innanzitutto per realizzare il progetto di mega fusione con Milano Assicurazione, Premafin e FonSai, servono soldi. Il piano prevede che Unipol entri in Premafin portando soldi, 400 milioni di euro per la precisione, in modo che Premafin abbia piu’ denaro che debiti, azzerando il passivo. Ma perche’ l’intesa si materializzi, Premafin deve sottoscrivere prima una quota del 35% dell’aumento di capitale necessario al grande gruppo assicurarivo in crisi. Sarebbe una bella batosta per gli azionisti, in ogni caso. Se fallisce a soffire sarebbero anche banche creditrici e assicurati.

Un eventuale fallimento della compagnia di assicurazione, viste anche le sue grosse dimensioni e la sua vasta rete di azione, sarebbe pero’ un disastro per tutti, come emerge da un servizio di RaiNews 24 che porta la firma di Marisa Adinolfi e Mario Sanna. Si tratta di un gruppo che e’ stato e sara’ tenuto in vita dal sistema finanziario. L’impressione, insomma, e’ che il crack sara’ evitato. “Non sara’ un nuovo caso Parmalat”, assicurano gli analisti durante la video inchiesta. L’accordo pero’ deve ancora andare in porto.

La compagnia bolognese chiede l’esenzione dell’Opa, un’operazione che aprirebbe il salvataggio a nuovi soggetti e che dunque permetterebbe ai piccoli azionisti di vendere i propri titoli. Cosi’ invece gli azionisti non saranno garantiti. Se la Consob stabilisce che ci dovra’ essere un’Opa, Unipol ha gia’ fatto sapere che si ritirera’ e si tornerebbe di conseguenza al punto di partenza.

La certezza a questo punto e’ una sola: a perderci saranno i piccoli azionisti. Con la nascita del colosso assicurativo, nascera’ peraltro un gigante monopolistico. L’opinione diffusa e’ che tutto fa pensare a una fumata bianca: la fusione ci sara’, dando grattacapi non da poco alle autorita’ Antitrust.

Forse per Ligresti, invece, questa potrebbe essere la caduta nell’abisso definitiva. Anche se e’ bene ricordarlo: in Italia, un paese in cui la gente ha la memoria corta, non si puo’ mai dare nulla per scontato.

Tornando all’attualita’, oggi la Guardia di finanza di Milano sta acquisendo dei documenti su Sinergia e Imco, holding della famiglia Ligresti che controllano oltre il 20% di Premafin, secondo quanto riferito a Reuters da fonti investigative.

Un paio di settimane fa la procura di Milano ha chiesto il fallimento di Sinergia e Imco nell’ambito di un’inchiesta su Premafin e Fondiaria-Sai per l’ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta e manipolazione del mercato.

IL PASSATO CONTROVERSO

Salvatore Ligresti, ottantenne immobiliarista e dirigente, e’ una delle figure piu’ controverse tra le pedine chiave della scacchiera del capitalismo italiano. Arrivato dal nulla, da Catania, lo si ritrova a meta’ Anni 80 a Milano: nel giro di pochi anni e’ gia’ diventato il re del mattone. Il re di Milano, come si diceva allora.

Conosce anche Michele Sindona, ma i due incontri chiave sono quelli con Enrico Cuccia, lume titolare di Mediobanca e snodo del potere italiano, e Bettino Craxi, leader del Partito Socialista Italiano (PSI). Negli Anni 70 diventa poi proprietario della compagnia di assicurazione SAI, compagnia nata nel 1921, dopo aver superato l’ostacolo rappresentato dall’imprenditore chimico Raffaele Ursini, inizialmente suo mentore, che negava di averglieva venduta. Di prepotenza e in un lampo e’ entrato a far parte dell’elite della finanza.

Nonostante i debiti accumulati, per Ligresti le porte di Milano non si sono mai chiuse. Sicuramente l’amicizia con il patron di Mediobanca ha molto a che vedere con un simile trattamento di favore. E’ sempre rimasto sulla cresta dell’onda, risorgendo dalle ceneri piu’ volte. Quest’ultima sarebbe solo la terza volta. Gia’ una volta era stato salvato dall’amicizia con Cuccia.

Oltre a essere stato un costruttore immobiliare di successo, Ligresti e’ stato anche uno degli uomini piu’ ricchi del paese negli Anni 90, quando ha scalato le classifiche di Forbes. Sopratutto e’ diventato uno degli uomini piu’ benestanti d’Italia in pochi anni.

Nel 1988-89 era sostanzialmente fallito, ma venne salvato da Mediobanca. Ligresti e’ successivamente uscito indenne dalle inchieste di mafia, ma con il processo Tangentopoli ecco registrarsi la sua caduta. Se si effettua un flashback di 30 anni, si trova infatti l’uomo d’affari nell’occhio del ciclone, accusato di aver pagato mazzette in cambio di appalti. Una pratica molto diffusa allora (e sicuramente non sparita del tutto, come dimostra l’ultimo caso di Finmeccanica). La banca fondata nel 1946 da Cuccia salvo’ Ligresti, chiedendo in cambio che la quota di SAI di proprieta’ di Montedison finisse dentro l’ombrello di Mediobanca. L’universo di Cuccia inglobo’ cosi’ anche le storiche assicurazioni fiorentine. Nasceva Fondiaria-Sai.

Riportando avanti le lancette del tempo, troviamo la magistratura che indaga sull’intera galassia Ligresti: Fonsai, Premafin e Milano Assicurazioni. La magistratura ha chiesto il fallimento per le altre due societa’ non quotate della sfera dell’immobiliarista, Sinergia e Imco.

Negli ultimi due anni le perdite di FonSai sono state pari a circa 2 miliardi di euro. Ligresti ha invece intascato centinaia di milioni di euro. In qualche caso, come quello di Ata Hotels, hanno persino scaricato perdite future sulla Fondiaria.

Allora a Fondiaria l’operazione di soccorso non era convenuta, affatto. Perche’ la banca lo ha fatto, allora? Per tutelare il sistema di potere di Ligresti, evidentemente, che fino a qualche mese fa, per capirne l’aura di influenza, siedeva anche nel CdA di Unicredit.

Nonostante la ricapitalizzazione, una pioggia di compensi ha ricoperto i dirigenti del gruppo: 5 milioni e mezzo ai tre figli di Ligresti, 10 milioni a Marchionni. Anche Geronimo e Vincenzo La Russa hanno avuto la loro buonuscita. Il tutto a discapito del piccolo risparmiatore, con aumenti di capitale pesanti che diluiranno il capitale.

Elio Lannutti, numero uno di Adusbef, da membro di Italia dei Valori ha presentato 20 interrogazioni al governo sulla questione, ma dai ministri non ha ottenuto nessuna risposta. La speranza che sia fatta giustizia risiede nei pm: Ligresti e’ indagato per aggiotaggio. L’ipotesi della procura e’ che il valore della holding sia stato oggetto di manipolazioni.

Dalle carte delle indagini si legge che “societa’ offshore non riconducibili a Ligresti, acquistavano i titoli Premafin” a comando. Obiettivo: tenere la quotazione su determinati livelli a vantaggio dell’ex Re del mattone di Milano.

“Questi soldi non torneranno mai indietro”: ne sono convinti giornalisti e analisti. Si cerca solo di rimandare nel tempo il momento in cui le banche dovranno ammettere di aver perso il denaro e adottare quindi una svalutazione.

Per contattare l’autore Twitter @neroarcobaleno; [email protected]