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Fiat Industrial lascia l’Italia per benefici fiscali in Olanda

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Roma – Alla fine è volata in Olanda. Un colosso come Fiat Industrial da 25 miliardi di euro di fatturato non batterà più bandiera italiana e verserà le tasse altrove.

Il rilancio prendere o lasciare del numero uno della società, Sergio Marchionne, ha convinto della bontà dell’operazione gli amministratori indipendenti di Cnh, gli unici che potevano impedire la fusione con la casa madre. Di certo grazie all’unione tra Cnh e Fiat Industrial, annunciata oggi, il nuovo gruppo pagherà meno interessi sul debito(gli analisti dicono 150 milioni in meno) ed, essendo più internazionale, avrà anche più accesso ai mercati finanziari.

Ma il vantaggio per gli altri portatori di interesse in Fiat (dai fornitori ai lavoratori, dall’Italia ai clienti) è tutto da dimostrare.

Sembrava francamente difficile che uno Special Committee stipendiato da Fiat potesse opporsi a lungo. Tra di loro non c’era nemmeno un italiano, con l’aggravante che di indipendente quegli amministratori non avevano nulla, visto che sono tutti a libro paga di Torino.

Sono il professor Thomas Colligan, ex revisore della Pricewaterhouse Cooper, il professor Rolf Jeker, che nella sua vita ha collezionato numerosi incarichi in Svizzera, Jacques Theurillat, avvocato esperto di tasse, il professor Edward Hiler e il banchiere (tra l’altro ex Lehman Brothers) Kenneth Lipper. Sono stati definiti indipendenti, anche se i primi tre percepiscono, da diversi anni, circa 115mila dollari l’anno da Cnh e gli altri circa 87mila dollari.

Per sciogliere la loro riserva e chiarire i loro dubbi si sono avvalsi della consulenza, remunerata sempre da Fiat, di Jp Morgan e di Lazard con l’aiuto dei legali degli studi Cravath, Swaine & Moore LLP, De Brauw Blackstone Westbroek N. V e di Bonelli, Erede & Pappalardo.

Di certo hanno avuto il merito di strappare una maxi cedola da 10 dollari in contanti per azione al temuto Sergio Marchionne che dal canto suo nella trattativa ha messo sul tavolo una minaccia non troppo velata.

Se l’operazione non fosse passata, la Fiat Industrial si sarebbe incassata anche lei un dividendo da oltre 2 miliardi di dollari, dando certo un contentino di 290 milioni agli azionisti di minoranza, ma svuotando di fatto la cassa del gruppo americano. Per di più Marchionne aveva minacciato di non garantire più nessuna cedola per il futuro e di rivedere in senso peggiorativo per Cnh tutti gli accordi infragruppo con Fiat. Insomma una spada di Damocle che lo Special Committe ha preferito subito rimuovere.

L’ultima possibilità di bloccare l’operazione è in mano agli Agnelli che, però, hanno annunciato “pieno sostegno all’operazione”. Con lo spostamento della sede all’estero, gli azionisti di minoranza di Fiat Industrial si possono sfilare esercitando il diritto di recesso.

Se alla Fiat il recesso costerà più di 325 milioni di euro, gli Agnelli potranno decidere il da farsi. Un ampio recesso sembra tuttavia improbabile, tanto quanto un ripensamento da parte della famiglia. Così nel 2013 si assisterà alla prima grande migrazione all’estero della Fiat coi suoi veicoli industriali, prima che si compia quella più attesa dell’auto. Con la fusione societaria, si trasferisce fuori dai confini nazionali la testa della società, mentre la produzione e gli stabilimenti sono già in via di ridimensionamento o di chiusura.

Trasferire l’azienda dall’Italia all’Olanda porterà benefici societari e fiscali, che vanno nell’esclusivo interesse degli azionisti di maggioranza. I principali sono avere azioni con privilegi diversi e risparmiare in tasse. Il primo lo ha confermato la società stessa nel suo annuncio:

“Gli azionisti che parteciperanno alle assemblee di Fiat Industrial e di Case New Hollande convocate per deliberare sull’operazione e rimarranno azionisti delle due società fino al completamento della fusione avranno la facoltà, indipendentemente dal voto da loro espresso, di ricevere due voti per ogni azione loro attribuita. Tale diritto sarà valido fino al momento in cui tali azioni saranno cedute. Successivamente alla chiusura dell’operazione, il diritto di ottenere il doppio voto per azione spetterebbe anche ai detentori di azioni a voto singolo che rimarranno azionisti della società per almeno tre anni”.

I primi a beneficiarne, non vale neanche la pena di sottolinearlo, saranno gli Agnelli. Con la fusione, la loro quota in Fiat Industrial si diluirebbe dal 30% al 27% (al di sotto della soglia d’Opa), ma il doppio diritto di voto blinderebbe di fatto il controllo della società. Quanto ai benefici fiscali, bisogna attendere i dettagli della fusione, sui quali Marchionne ha mantenuto il più stretto riserbo. Uno dei sistemi più utilizzati per creare holding in Olanda è conosciuto come “dutch sandwich” (il “panino olandese”), che consiste nel collocare una società holding madre nelle Antille Olandesi e la società holding figlia in Olanda, che a sua volta possiede l’operativa collocata in uno stato estero (per esempio, Usa e Italia). Il fine è di avere un beneficio fiscale (fino all’esenzione) sui dividendi prodotti dalle controllate o di avere minori aliquote di imposta.

In Olanda, i dividendi non sono tassati a differenza dell’Italia dove sono esenti solo per il 95%, mentre sul restante 5% si versa al Fisco un’imposta del 27,5%. Equivale a una aliquota dell’1,375% che sui grandi numeri non è irrilevante. Avere gli zoccoli ai piedi vuol dire anche pagare meno royalties sui marchi e sui brevetti (non per niente molte case del lusso hanno le società proprietarie dei marchi con sede in Olanda) e avere a disposizione una serie di accordi con Paesi esteri sulla doppia imposizione più numerosi rispetto a quelli siglati dall’Italia.

Un altro fattore rilevante che ha dato di fatto il via libera all’espatrio delle holding italiane è stata la recente normativa sul congelamento delle plusvalenze latenti. Prima, per trasferire la sede fuori dall’Italia, era necessario pagare subito le tasse sulle plusvalenze che la vendita degli asset della società avrebbe generato. Dallo scorso anno la tassazione è differita nel tempo e viene rimandata al momento della cessione vera e propria dell’asset. Liberi tutti. E Marchionne e gli Agnelli non hanno perso tempo per portare una parte del loro gruppo lontano dai controlli degli ispettori del Fisco italiano.

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